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Un festa necessaria

di Luigi Del Favero

«La vigilia della Madonna di agosto, digiuna anche l’uccello nel bosco»! Ripetendoci questo detto, ci inculcavano il dovere di passare la vigilia dell’Assunta osservando il digiuno. Poiché a quell’epoca, da ragazzo, ero al pascolo con le mucche, bisognava stare attenti a non mettere in bocca neppure una fragolina, un mirtillo o un frutto dei lamponi che proprio in quei giorni erano maturi e abbondavano attorno a noi. Esagerazioni o addirittura crudeltà? Oggi sembrano tali, tenuto conto che negli altri giorni il menu–base era polenta e formaggio, al punto che se non proprio il digiuno, l’astinenza era quasi quotidiana. Tuttavia quella pratica scrupolosamente osservata faceva entrare l’idea che ci si stava preparando ad una festa veramente grande, vissuta dagli uomini e partecipata da tutto il creato. Più tardi, col diffondersi del turismo di massa, la Chiesa mitigò e poi abolì del tutto quelle norme diventate impossibili da osservare. Ci dicono che nell’Oriente cristiano esse valgono ancora. Gli Orientali infatti chiamano la festa dell’Assunta «Pasqua dell’estate» e vi si preparano con la «piccola Quaresima». Non rimpiango la severità di quegli anni, ma neppure perdo tempo a deprecarla. Faceva parte di quei segni di appartenenza che sono necessari ad ogni gruppo, anche religioso, che noi oggi abbiamo perso con danno per la nostra identità, specialmente entrando in contatto con persone di altre religioni.
Ricordo la vicenda di un missionario vecchio stile che, rientrato in Italia dopo decenni nell’Indocina (un tempo il Sud–Est asiatico si chiamava così), fu assegnato ad un piccolo santuario situato nella valle di montagna dove era nato. Per la festa dell’Assunta preparò la sua chiesa nel modo migliore: pulizia, tanti fiori e candele, gli addobbi e i paramenti più belli, suono a distesa delle campane nelle sere precedenti. Aspettava i pellegrinaggi che aveva visto da bambino: dai piccoli paesi dei dintorni raggiungevano il santuario proprio il 15 agosto. Non venne nessuno! Egli non immaginava come era cambiata la religiosità della sua terra. Celebrò la Messa da solo, ma suonò ancora le campane per l’ora del vespero. Giunse una coppia di innamorati e il prete seppe che erano fidanzati prossimi al matrimonio. Spiegò loro il significato della grande festa ed essi si fermarono finalmente a pregare con lui. Il cuore gli si allargò ed ebbe un’intuizione: «Capisce l’Assunta solo chi ha un futuro e lo guarda e cammina verso di esso. Con questi giovani tutto può ricominciare e sarà più bello di prima».
Chiamato a dire in una parola sola qual è il messaggio dell’Assunta, oggi lo formulerei così: «Parla del nostro futuro, perché ci dice quello che noi saremo». Maria che ha vinto la morte raggiungendo la meta e guardandoci dal Paradiso, diventa segno di sicura speranza. Siamo destinati alla vita, quella che non avrà fine, avremo una casa in patria, ritroveremo coloro che abbiamo amato e che abbiamo pianto per persi, raggiungeremo la gioia della quale tutte le piccole e grandi gioie terrene sono state un segno e una promessa. Parlandoci degli uccelli del bosco che, a modo loro, partecipavano alla solennità, i miei nonni stavano enunciando una verità scritta in grossi libri di teologia dove ci viene spiegato che la creazione intera verrà rigenerata e conoscerà come una nuova nascita. Maria con il suo stesso corpo ci ha preceduto su questa strada e ci mostra il nostro solidale destino. Solidale con tutti gli uomini e con il creato. Ogni cosa – le montagne, i fiori, gli animali, le sorgenti d’acqua tanto benefiche in questa stagione – tutto parteciperà ad una nuova creazione che noi adesso non riusciamo ad immaginare. Proprio per questo amiamo e rispettiamo ogni uomo, ogni vivente, ogni cosa. Iniziando dal nostro stesso corpo!
Nelle celebrazione della festa, una festa davvero necessaria, c’è un momento in cui la festeggiata stessa, la Madonna, prenderà la parola. Sarà una parola forte, per niente sdolcinata e non immediatamente consolatoria. Il suo sarà un vero canto di vittoria in cui ci annuncia che Dio travolgerà quanto oggi ci fa male. Travolge già ora, nella storia, l’autosufficienza dei superbi; gli ingiustificabili dislivelli umani li abbatte e depone i potenti di turno; sconvolge l’intoccabile classismo stabilito sul denaro, che per un momento, sempre effimero anche quando si prolunga per un certo tempo, a noi pare definitivo; fa cadere le armi dalle mani dei violenti. Domani sconfiggerà l’ultimo nemico, il più terribile. Non ci sarà più la morte e verranno asciugate le lacrime da ogni volto. Sono i contenuti del ’Magnificat’, l’unico canto di Maria, nel quale esalta la misericordia di Dio che giunge ad ogni generazione. Anche alla nostra, così angosciata dal presente e preoccupata del proprio futuro.
Per rispondere non occorre andare in cerca di pensieri profondi nutriti di difficile teologia né di promesse che aggiungano impegni alla fatica di vivere. Lasceremo rispondere al cuore che suggerisce anch’esso un canto dalle parole semplici, affidate ad una melodia popolare: «Andrò a vederla un dì in Cielo patria mia... È il grido di speranza che infonde in me costanza nel viaggio e tra i dolor».

Leggi "Don Luigi Del Favero" della settimana scorsa.

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