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La stanchezza della terra

di Luigi Del Favero

Un brutto incidente ha bloccato l’autostrada ed è necessario scegliere un itinerario alternativo sulle strade che attraversano i paesi. Non sto facendo una gita e neppure un pellegrinaggio, ma ‐ se così si può dire – un viaggio di lavoro, con una certa fretta di ritornare a casa. Tuttavia bisogna accettare la situazione e utilizzare le vecchie strade che da Reggio Emilia mi conducono a Mantova. La cosa ha un suo aspetto interessante e, alla fine, piacevole. Riconosco i nomi di località che erano state danneggiate dal terremoto dell’Emilia del 2012: tutto è stato ricostruito molto bene e i paesi sono rinati più belli di prima, in tempi rapidi. L’unico segno che scorgo è un altissimo campanile ancora ingabbiato nelle impalcature. Più allegro l’attraversamento di Brescello con la doverosa memoria di don Camillo e Peppone. Vedere, lì vicino, il Po in magra dà una qualche tristezza. La mia attenzione è dedicata soprattutto alla campagna. Sono in quella parte della pianura padana totalmente piatta, da dove non si può scorgere il profilo di nessuna montagna. La cosa è sempre insolita per noi, ma oggi, in una giornata piena di luce e di sole, mi piace. La campagna trasmette un’impressione di stanchezza, che si consolida man mano che procedo. Non è la stanchezza di un ammalato e neppure quella di chi soffre di noia o delusione, ma quella stanchezza buona e sana di chi si avvia al termine di una giornata nella quale ha lavorato tanto e ora vede vicina l’ora del riposo. Per la terra tale ora è annunciata dai colori che cambiano, dalle ombre che si allungano, dall’aria che, nonostante il sole ancora ricco di forza, è attraversata da un venticello piacevole e dai tanti odori o profumi dell’autunno. Sono quelli del raccolto che è stato abbondante e buono. Piccoli segnali coloratissimi sono distribuiti lungo tutta la strada ai cui margini hanno collocato molti punti–vendita dove vengono offerti i prodotti del luogo. Dominano le zucche di ogni dimensione e colore; poi frutta di vari tipi, con dell’uva dolcissima e pere dall’aspetto accattivante; tra le tante verdure spicca il pomodoro. Per terra sono disposti sacchi di patate che a me ripetono il vecchio messaggio di sicurezza: se ci sono tante patate, non avremo fame. Mi rendo conto di quanto siano entrati in profondità i discorsi ascoltati da ragazzo ogni volta che arrivava la stagione del raccolto delle patate. I miei nonni invariabilmente raccontavano dell’anno della fame, durante la grande guerra, delle patate diventate preziosissime al punto da istituire le ronde notturne per difendere i campi dai ladri tra i quali bisognava considerare anche i militari di occupazione, affamati pure loro. Incanalati in qualche posto della memoria, quei ricordi non sono morti e riaffiorano sempre più frequentemente.
È già chiaro che ho scelto uno di questi improvvisati chioschi per fare acquisto di un po’ di quel ben di Dio che noi non abbiamo in uguale misura. Sono i doni della fertile campagna che ora è stanca. Ma chi dice che sia stanca? Basta guardare le distese di campi coltivati a fagiolini: hanno le foglie ingiallite e le piantine sono ripiegate e si abbandonano per terra. O i campi di melanzane e peperoni dove ormai razzolano liberamente le galline. Anche alcuni stormi di uccelli che classificherei senza esitazione tra quelli che migrano, appoggiandosi lentamente sul terreno, forniscono l’immagine di chi cerca riposo. Alcuni rami di alberi da frutto ai margini della strada hanno i rami piegati verso il basso per il peso dei frutti stessi non raccolti. Sintomi che interpreto come segnali di quella stanchezza buona che metto in conto tra le cose positive dell’autunno che avanza e che per me è la più bella stagione dell’anno. Certamente questa predilezione si è sviluppata nel nostro autunno dolomitico con il colore dei larici, l’aspetto straordinario delle montagne, sia quando sono illuminate dal sole che quando ne raccolgono gli ultimi raggi al tramonto, la tinta intensa dei fiori autunnali che spiccano sui davanzali e negli orti, il fresco della notte, il bramire dei cervi, il profumo che al tramonto si alza dai camini testimoniando che il fuoco è stato acceso per riscaldare le sere. La campagna stanca per il lungo lavoro e la fatica della fecondità aggiunge qualcosa che in montagna è meno presente.
Si possono dire le stesse cose anche per l’autunno della vita? Il linguaggio le autorizza applicando talvolta l’immagine dell’autunno all’età che avanza. Forse è stanco anche l’autunno dell’uomo, ma è bello specialmente quando è ricco di frutti. Staccandosi dai giovani che lo avevano accolto a Cracovia, papa Francesco ha fatto una richiesta solenne al gruppo incaricato di preparare la prossima Giornata mondiale dei Giovani che si celebrerà tra alcuni anni a Panama. Ha detto serenamente di non sapere se lui ci sarà, ma si è fatto promettere questo singolare impegno: «Mi promettete di preparare questo appuntamento parlando tanto con i vostri nonni? Volete ascoltarli e fare tesoro della loro memoria?». In genere chi si lancia verso il futuro non si attarda a prendere in considerazione i nonni. Per papa Francesco invece è una necessità se si vuole essere pienamente umani. In altre occasioni ai nonni chiede di non lamentarsi.
Questo anziano Padre, che – per ora – nessuno scambia con un nonno, possiede tutta la bontà e la saggezza della terra stanca e la bellezza singolare dell’autunno.

Leggi "Don Luigi Del Favero" della settimana scorsa.

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