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Vai al cinema!

di Luigi Del Favero

Tengo sul mio tavolo un buon dizionario della lingua italiana e lo uso spesso. Ma mi rendo conto che è una pratica poco condivisa perché stiamo facendo a meno di tutto quello che ci tiene uniti. Basta osservare come trattiamo la lingua: dal tempo in cui la lingua era amata, conosciuta, coltivata, siamo andati molto lontano. Quante discussioni per precisare il significato esatto di una parola o per cercare la forma giusta di un verbo, di un pronome, di un superlativo! Il pressapochismo nel linguaggio che oggi è in vigore mi dispiace, ma mi preoccupa molto di più la rinuncia ad avere una visione del mondo condivisa. È ritenuta un lusso ed è dichiarata inutile, dato che ognuno è libero di costruirsi la visione che vuole ed è soprattutto libero di non avere nessuna visione d’insieme del mondo, della vita, della realtà. È una brutta storia iniziata circa cent’anni fa, quando un pensatore che andava per la maggiore proclamò: «Se vuoi avere una visione del mondo, vai al cinema». La realtà che conta, cioè la scienza, l’economia, la politica, non ha bisogno di "visioni del mondo". Ci rimane ‐ ma ad intermittenza ‐ l’invocazione di una morale. Capita in alcuni momenti quando un sedicenne uccide i genitori o l’ex–compagno dà fuoco alla fidanzata o i ladri ci penetrano in casa mentre dormiamo. Ma anche questa morale è fatta soltanto di regole che, senza qualcosa che le tenga unite, non possono essere condivise e rimangono prive di forza.
Nei giorni passati un grande cordoglio, espresso sui giornali, ha accompagnato la morte di Zygmunt Bauman, ebreo polacco di origine, sociologo di professione, testimone di un secolo di grandi vicende nelle quali è rimasto coinvolto, pensatore ascoltato e circondato dall’attenzione che si riserva ai profeti. Non ha scoperto una nuova medicina per sconfiggere il cancro né ha trovato la formula giusta per risolvere i problemi economici e non ha modificato la politica degli Stati. Ma ci ha spiegato alcune cose essenziali. Perché il nostro mondo, quello umano si intende, è così e non in un altro modo. Perché viviamo come stiamo vivendo. Perché c’è stato lo sfarinamento di ogni forma di comunità: partiti, sindacati, famiglia; Chiesa compresa. Soprattutto ci ha spiegato perché per noi sia diventata cosa durissima il compiere scelte definitive, prima fra tutte la scelta del matrimonio. È già tanto capire un po’ meglio dove ci troviamo e perché le cose sono andate così.
Ma il vecchio Bauman ci ha lasciato intravedere anche la strada da percorre per aprirci al futuro ed è soprattutto di questo che gli dobbiamo essere grati. La porta per entrare nel futuro e andare avanti è stretta, impopolare, ma è l’unica che esiste e gira su due cardini. Il primo è la ragione, usata sistematicamente e pazientemente: parlare alla testa e non alla pancia; coltivare convinzioni motivate e non accontentarsi di slogan e diffidare istintivamente dei capi–popolo. Il secondo è la mitezza di cui Bauman, perseguitato dal nazismo, cacciato dal partito comunista, esule dalla patria, ha dato buon esempio dato che non si trovano mai in lui una parola aggressiva né la voglia di sopraffare gli altri.
Ma dopo il metodo viene la sostanza che può essere riassunta così, quasi formulando una legge: «Ogni volta che creiamo qualcosa di solido ‐ una famiglia, un’impresa, pur piccola, una relazione di amore e di amicizia ‐ realizziamo qualcosa di grande e introduciamo nel mondo gli anticorpi per vincere i virus distruttivi». Poi le scelte individuali si incontrano, diventano progetto, hanno forza politica e riescono ad incidere sulla società. «Tutto qui? Con questa formula si potrà cambiare il mondo?». A qualcuno è chiaro perché non gli abbiano mai attribuito un Nobel, che non si spreca con chi sa fare solo prediche. Eppure l’alternativa è "diventare matti". Parola questa di un compagno di viaggio che il sociologo ha incontrato nell’ultimo scorcio della vita, scoprendo un’affinità con lui che si potrebbe definire totale. Si tratta di papa Francesco che a quanti attendono di avere un piano perfetto di azione, di possederlo come si possiede una mappa da aprire sul tavolo e dove ogni spazio è ben segnato, dice nel testo più importante che finora ha scritto: «Dare priorità allo spazio porta a diventar matti per risolvere tutto nel momento presente» (EG 223).
E riappare quella visione d’insieme che per troppo tempo è stata scartata. Ha la fisionomia della fraternità che comporta necessariamente la riduzione delle disuguaglianze che si sono fatte enormi e pericolose perché non sono più tollerabili. Io devo partire dal convincimento intimo che l’individualismo, esaltato tanto negli ultimi decenni, non è spontaneamente propenso all’agire morale che si concentra nella cura degli altri e presuppone reciproca accettazione, responsabilità vicendevole, comprensione, fiducia, solidarietà. Anche spegnere il motore dell’auto nella sosta e accettare un po’ di freddo deriva dal senso morale e contribuisce a cambiare il mondo. Così la gentilezza, la buona educazione, l’abolizione delle chiacchiere e altri piccoli comportamenti da attuare oggi.

Leggi "Don Luigi Del Favero" della settimana scorsa.

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