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Lunedì 15 ottobre 2018 ‐ S. Teresa d'Avila

Un fondo provinciale contro lo spopolamento






Lunedì 15 ottobre la firma in Provincia dell’atto costitutivo del nuovo strumento per sostenere le famiglie e le persone bisognose

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Favorire il rientro in provincia dei giovani laureati, sostenere le famiglie, intervenire nelle situazioni di marginalità, incentivare le idee lavorative che puntano all’innovazione. In buona sostanza, contrastare lo spopolamento della montagna bellunese. Con la firma apposta lunedì 15 ottobre nella sede della Provincia di Belluno è stato ufficialmente costituito il comitato per la gestione del Fondo Welfare e identità territoriale. Un progetto che vede insieme 51 Comuni del territorio provinciale, categorie economiche, Diocesi, sindacati, singole realtà associative e che, secondo i promotori, è destinato a diventare uno dei primi esempi di messa in pratica della tanto "agognata" autonomia del Bellunese. Nell’edizione cartacea dell’Amico del Popolo in distribuzione da giovedì ulteriori approfondimenti sulle finalità dell’iniziativa e sull’incontro di presentazione.


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I prossimi passaggi consisteranno nell’analisi dei bisogni primari e nella condivisione delle azioni da inserire nei progetti che saranno poi oggetto di finanziamento. Il Fondo, istituito in via sperimentale per un triennio (fino a ottobre 2021), sarà nel tempo alimentato mediante risorse finanziarie di enti pubblici e privati, contribuzioni di associazioni e imprese, donazioni, forme di sostegno da progettualità specifiche (come il Fondo Comuni confinanti, solo per fare un esempio). «La cifra a cui si potrà arrivare non è attualmente preventivabile », commenta il presidente della Provincia di Belluno, Roberto Padrin, «ma l’obiettivo e l’auspicio sarebbero di raggiungere almeno qualche milione di euro». «Abbiamo già condiviso alcune linee di azione, su cui andremo a muoverci nel brevissimo tempo», fa eco Francesca De Biasi, consigliere provinciale con delega a Welfare e identità territoriale. «In primis vorremmo sostenere il rientro di giovani bellunesi laureati che hanno lasciato il nostro territorio, così come puntiamo a dare un aiuto concreto alle famiglie: dalla facilitazione dei tempi lavoro-vita privata al supporto alla genitorialità, passando per l’incentivazione dell’insediamento abitativo e lavorativo delle giovani coppie». Senza dimenticare il contrasto all’invecchiamento e alle situazioni di disagio sociale. Obiettivo ultimo: avviare strategie per mantenere i cittadini nel territorio bellunese e migliorare la loro qualità di vita. «Senza i servizi non si va da nessuna parte», mette in risalto Renato Bressan, segretario della Spi Cgil, che ha firmato il documento insieme ai suoi colleghi della Cisl. «Se il Fondo avrà successo lo vedremo non subito, ma tra qualche anno. Quel che speriamo è di aver messo in piedi un vero e proprio modello». Modello esportabile ad altri ambiti di attività, anche perché si tratta di uno dei pochi esempi, se non l’unico, in cui tutti i soggetti del territorio provinciale, istituzionali e non, hanno deciso di muoversi in modo sinergico. «Non è di certo semplice trovare un territorio in cui ben 51 Comuni si mettono insieme per un progetto unitario», fa notare Padrin insieme a Umberto Soccal, presidente del Consorzio Bim Piave. Quest’ultimo ha anche anticipato l’intenzione di coinvolgere le 12 amministrazioni che non hanno ancora aderito all’intesa. «Non credo si possa risolvere tutto con le sole risorse economiche», aggiunge Soccal, «ma serve un salto dal punto di vista dell’identità culturale».

Identità e persona sono tra l’altro le parole chiave del progetto. «Il nostro territorio è vasto e metterci insieme non è semplice», afferma Rudy Roffarè, segretario della Cisl Belluno-Treviso. «Per questo la caratteristica principale di questo welfare deve consiste nell’essere solidali». «Quello a cui ci troviamo davanti è un passaggio storico», dice ancora Padrin. «Un passaggio che ci fa rendere conto che dobbiamo pensare a un welfare gestito dalla comunità stessa», mette in evidenza Jacopo Massaro, sindaco del Comune di Belluno. «Le trasformazioni che stiamo vivendo riverseranno sui territorio diverse competenze ed è giusto farsi trovare preparati».

«La comunità diocesana non può muoversi da sola», sottolinea il vescovo Renato Marangoni, «ed è per questo che prendiamo parte a questo progetto unitario. L’isolamento si individua spesso nello scarso dialogo tra gli enti».



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