È passato un anno dal 24 febbraio 2022 e la guerra continua. Molti ucraini rifugiati sono ancora qui con noi, in provincia di Belluno, sono soprattutto donne e bambini, si stanno integrando e non sanno quando potranno tornare in patria. In tanti hanno perso le loro abitazioni, laggiù, e molti uomini di quelle famiglie sono stati chiamati al fronte. Sono decine di migliaia i lutti, tra i soldati e tra i civili.
Putin non se l’aspettava che gli ucraini avrebbero resistito ad ogni costo, casa per casa, anche nelle regioni ucraine di lingua russa, al Sud, nell’Est. Non credeva che fosse un desiderio così profondo e duraturo, quella voglia di Europa che già aveva portato gli ucraini a destituire il loro presidente nel 2014, ritenuto colpevole di aver bloccato il processo di avvicinamento alla Ue per tentare di orientare di nuovo l’Ucraina verso la Russia. È un desiderio così profondo da spingere la popolazione ad accettare il sacrificio, pur di non tornare indietro a prima del 1991, l’anno dell’indipendenza, quando fu dichiarata la dissoluzione dell’Unione Sovietica, al tempo di Mikhail Gorbachev. Ci fu un referendum in Ucraina, il 1 dicembre 1991, con l’84% degli elettori recatisi alle urne e un risultato nazionale complessivo di 90% dei voti per il «sì» all’indipendenza dalla Russia. Tutte le regioni dell’Ucraina si espressero a favore dell’indipendenza (come si vede nella cartina di questa pagina), con percentuali nette anche all’Est dove adesso infuria la guerra scatenata dalla Russia. A Kharkiv, nella regione settentrionale ucraina al confine con la Russia dove ora si concentra lo scontro più duro, l’86% votò per l’indipendenza dalla Russia. Anche la Crimea si espresse a favore dell’indipendenza dalla Russia (54% i «sì»), anche lì andò a votare più del 50% degli elettori. Il 55% degli ucraini di etnia russa votò a favore dell’indipendenza. I dettagli del referendum del 1991, regione per regione, si possono leggere qui.
C’è una coerenza evidente, in tutto ciò che sta accadendo: da una parte gli ucraini che sognano una democrazia libera di tipo occidentale; dall’altra la Russia che vuole riportare l’Ucraina dentro la sua orbita e sottometterla, com’è sottomessa la Bielorussia.
Guardare indietro – bastano gli ultimi 10-15 anni – ci serve per capire. Prima la Russia ha provato a raggiungere i suoi obiettivi “con le buone”, senza aprire un conflitto aperto contro uno stato sovrano. Nel 2010 venne eletto il quarto presidente dell’Ucraina indipendente, Viktor Yanukovych: fu lui a decidere di non portare avanti l’accordo di associazione tra l’Ucraina e l’Unione europea, prospettando un effettivo riavvicinamento alla Russia. La decisione suscitò l’indignazione di molti ucraini favorevoli alla cooperazione con l’Ue, fino a portare, tra la fine del 2013 e l’inizio del 2014, alla rivoluzione nota come Euromaidan. La popolazione chiedeva l’Europa. Le proteste iniziarono pacificamente, ma divennero violente quando la polizia ucraina iniziò a reprimere i manifestanti. Il 20 febbraio 2014, durante uno scontro tra manifestanti e polizia, circa 100 persone furono uccise. Yanukovych fu accusato di essere responsabile della violenza e il Parlamento ucraino votò per destituirlo dal potere. Yanukovych fuggì a Mosca e l’Ucraina si trovò di fronte a una situazione di crisi.
A questo punto la Russia cominciò a passare alle maniere forti, alla luce del sole: con proprie forze militari iniziò a prendere il controllo della Crimea e, meno di un mese dopo la destituzione di Yanukovych, Vladimir Putin il 18 marzo 2014 dichiarò annessa la Crimea alla Federazione Russa in seguito a un referendum controverso tenutosi due giorni prima. La maggior parte dei paesi del mondo non ha riconosciuto l’annessione, considerata una grave violazione del diritto internazionale e della sovranità dell’Ucraina.
Ma non era finita qui: subito dopo l’annessione della Crimea si sono verificati disordini e manifestazioni in diverse città dell’Ucraina orientale, in particolare nelle regioni di Donetsk e Lugansk, alimentati da sentimenti separatisti e anti-ucraini sostenuti dalla Russia (in quelle due regioni, vent’anni prima, l’84% della popolazione si era espressa per l’indipendenza dalla Russia, una situazione chiara e ben diversa rispetto alla “narrazione” che Mosca fornisce). In risposta, l’Ucraina ha cercato di ripristinare il controllo del proprio territorio ma le forze separatiste, supportate dalla Russia, hanno preso alcune parti delle regioni di Donetsk e Lugansk e hanno proclamato la nascita di due repubbliche popolari autoproclamate (Dpr e Lpr). A poco o nulla sono serviti gli Accordi di Minsk del 5 settembre 2014, che prevedevano un cessate il fuoco immediato, l’organizzazione di elezioni locali nel Donbass e una maggiore autonomia per la regione, oltre alla ripresa del controllo ucraino sul confine tra Russia e Ucraina. Gli accordi hanno anche fatto nascere un “gruppo di contatto” composto da rappresentanti dell’Ucraina, della Russia e dell’Osce, incaricato di monitorare l’attuazione degli accordi. Tuttavia il cessate il fuoco è stato violato ripetutamente, le elezioni locali non sono mai state organizzate e la situazione nel Donbass è rimasta instabile. Intanto la Russia ha continuato a fornire sostegno ai separatisti filorussi e il controllo ucraino del confine con la Russia non è mai stato ripristinato. Gli scontri tra le forze ucraine e i separatisti filorussi sono continuati, in una guerra “a bassa intensità” al confine tra Ucraina e Russia.
E siamo a un anno fa e siamo a oggi: la Russia ha cercato di far precipitare definitivamente la situazione a proprio favore sferrando un colossale assalto militare iniziato il 24 febbraio 2022, non soltanto nelle zone instabili dell’Est dell’Ucraina ma puntando addirittura al cuore del paese, alla capitale Kyiv, che ha resistito. La controffensiva ucraina ha confinato il conflitto soprattutto a Est e a Sud, anche se la Russia ha più volte bombardato tutte le zone del paese, spesso colpendo obiettivi civili. All’inizio della guerra Putin aveva esplicitamente invitato la popolazione ucraina a destituire il presidente Volodymyr Zelensky, ebreo di lingua russa dell’Ucraina del Sud, ma si è scontrato con la volontà opposta della gente e con una resistenza civile diffusa e, fin qui, incrollabile: la popolazione non cede, anche se sta uscendo da un inverno durissimo dopo che la Russia ha deliberatamente distrutto le reti di approvvigionamento energetico, lasciando la popolazione al freddo e al buio.
Dopo un anno, oggi l’aggressione da parte della Russia continua pesantissima e l’Ucraina cerca di difendersi e di respingere i russi, senza mai aver portato il conflitto fuori dai propri confini. Purtroppo non sembrano emergere spiragli per un negoziato che faccia tacere le armi, anche se pare evidente che nelle regioni rivendicate dalla Russia prima o poi sarà necessario interpellare la popolazione, sotto lo sguardo vigile di osservatori internazionali e non dei soldati russi in armi.
Luigi Guglielmi
Ha collaborato Yuriy Kolivoshka
Seguici anche su Instagram:
https://www.instagram.com/amicodelpopolo.it/
2 commenti
Vittorio Zornitta
Ottimo resoconto storico che aiuta a capire il contesto all’origine del grave conflitto. Abitiamo nei Pirenei ed abbiamo accolto in marzo la famiglia della signora Arpina Yrykanian con una figlia di 20 anni e due bambini provenienti da Odessa. Questa famiglia è stata sostituita da una famiglia proveniente da Karkiv: Olena Yavnikova, 57 anni, sua figlia Kateryna, 35 anni, Bogdan 11 anni e Tim 6 anni. Sono rimasti 5 mesi. Prima di Natale sono rimpatriati malgrado la guerra. Ci hanno mandato gli auguri di buon anno con la foto dei bambini sorridenti nel loro giardino.
redazione
Grazie molte signor Zornitta. Auguri per tutto. Luigi Guglielmi