Domani, domenica 24 settembre, sarà celebrata anche a Belluno la 109esima Giornata mondiale del migrante e del rifugiato, che avrà come tema «Liberi di scegliere se migrare o restare» che è il titolo del messaggio che il Papa prepara tradizionalmente per questa occasione. La questione centrale – spiega in proposito il diacono Francesco D’Alfonso, direttore della Caritas di Belluno-Feltre – è quella di garantire a tutti, secondo le parole del Papa, «un’equa partecipazione al bene comune, il rispetto dei diritti fondamentali e l’accesso allo sviluppo umano integrale». E a questo scopo è necessario «uno sforzo congiunto dei singoli Paesi e della Comunità internazionale per assicurare a tutti il diritto a non dover emigrare, ossia la possibilità di vivere in pace e con dignità nella propria terra».
A Belluno la Giornata sarà celebrata con due momenti significativi: la Santa Messa presieduta dal Vescovo in cattedrale alle 18.30 e, a partire dalle 16, la proiezione di un docufilm nella sala teatro del Centro Giovanni XXIII. Si tratta di un cortometraggio di Alessandra Rossi che è stato prodotto da Rai 3, che è intitolato «Non fare rumore» e che si è avvalso della consulenza dello storico dei flussi migratori Toni Ricciardi, docente presso l’Università di Ginevra (Rossi e Ricciardi saranno presenti per l’occasione).
Il docufilm testimonia il dramma delle famiglie di emigrati italiani in Svizzera tra la metà degli anni Sessanta e quella degli anni Settanta, quando un accordo tra i governi italiano e svizzero apriva la strada all’emigrazione di braccia italiane nel Paese elvetico per contratti stagionali di nove mesi, la cui specificità era quella di riguardare esclusivamente la prestazione lavorativa, senza alcun riferimento alla vita familiare e ai diritti delle persone, particolarmente dei minori. Infatti, salvo un breve periodo di sei mesi, per il quale era possibile richiedere un visto turistico per i minori, al termine del quale dovevano essere rimpatriati, era fatto divieto ai lavoratori immigrati di portare con sé i figli. Questo ebbe pesanti ricadute sulla vita delle famiglie e sull’equilibrio e la crescita dei bambini. Quando non affidavano i figli ai nonni o a parenti ed amici rimasti in patria, i genitori portavano con sé i piccoli, nascondendoli nel bagagliaio dell’auto oppure non riportandoli in patria dopo la scadenza del visto turistico e li invitavano a non fare rumore, non gridare, non correre per le scale, non giocare…
Ancora oggi, i bimbi e i ragazzi di quegli anni portano in sé delle ferite profonde, spiega il diacono Francesco D’Alfonso, sottolineando che è difficile immaginare che questo sia accaduto pochi decenni fa e con un accordo tra Paesi democratici ed evoluti, come l’Italia e la Svizzera. «Ma questo – fa presente – ci ammonisce che se si guarda solo agli interessi economici la dignità umana può essere calpestata. Per non restare indifferenti al dramma di tantissimi immigrati in fuga da guerre, violenza, miseria e fame, è bene ricordare le sofferenze di quando eravamo noi a migrare ed eravamo guardati con sospetto e con pregiudizio e temevamo che i vicini di casa facessero la spia alle autorità sulla presenza dei bambini accanto ai loro genitori».
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