9 luglio 2024: un giorno come un altro, come tanti altri, che non sembra possa avere niente di diverso. Per noi invece no! È stato il secondo incontro con una realtà apparentemente lontana da noi: il carcere.
Come lo scorso anno, nella casa soggiorno di Santa Croce del Lago, Villa Don Gino Ceccon, sono venuti a trovarci due detenuti con alcuni dei professionisti che li seguono dal carcere “Due Palazzi” di Padova e hanno condiviso insieme a noi il pranzo all’esterno, circondati dal meraviglioso paesaggio dell’Alpago.
È stato un momento ricco di semplicità e quotidianità, quello che a questi ragazzi mancava da più di dieci anni. Vedere il cielo e la meraviglia della natura che lo circonda, condividere un pranzo in giardino, come fosse una festa, in una calda giornata d’estate, giocare a carte, la Santa messa, sorrisi, abbracci, strette di mano, vicinanza e annullamento di tutte le barriere dettate dal tempo, dallo spazio, dalla pena da scontare.
Il 9 luglio, una giornata come tante altre? Forse per tanti sì, ma per loro un momento diverso che significa l’inizio di una ripartenza, riaffacciarsi alla vita esterna, l’incontro con persone nuove, un respiro a pieni polmoni di un pezzo di libertà.
Per i residenti e i dipendenti della casa soggiorno è stato un giorno in cui accogliere chi ci sembrava potesse essere diverso e lontano da noi mentre invece ci siamo resi conto che questo incontro ci ha fatto cadere paure, pregiudizi e false credenze.
Alle volte alcuni giorni sembrano uguali agli altri, molto spesso la nostra quotidianità ci annoia e non riusciamo a vedere la preziosità del tempo come ci ha detto uno dei due detenuti: “Ora riesco a percepire la preziosità di ogni singolo giorno e cerco di vivere ogni giorno senza preoccuparmi troppo del futuro o caricarmi di negatività del passato. Il tempo è prezioso, giorno dopo giorno.”
Il tempo passa sempre, inesorabile, senza il nostro controllo e a volte ci dimentichiamo di quanto prezioso sia. Chi meglio di loro può dircelo? Hanno un’ora d’aria al giorno, la possibilità dopo il covid di chiamare al telefono per dieci minuti solo numeri precedentemente autorizzati, le visite anche quelle autorizzate e scandite da una durata prestabilita. E tutto questo per anni.
Per alcuni dei residenti quel giorno è stato importante anche per dare un volto al ragazzo, con cui da un anno c’è uno scambio epistolare.
Da entrambe le parti c’era l’emozione data dall’attesa e dalla possibilità di potersi conoscere, stringersi la mano, abbracciarsi o darsi un bacio. Dopo tanta attesa e curiosità, c’è stata la dimostrazione dell’affetto coltivato nei mesi attraverso lo scambio di semplici lettere, un mezzo che sembra obsoleto ai nostri tempi, ma che racchiude la bellezza di poter conservare e rileggere i passaggi della storia della nostra amicizia.
Chi meglio dei due ragazzi può dirci quanto è importante una giornata come quella che hanno vissuto martedì 9 luglio? Quanto importante è che momenti come questo possano ripetersi negli anni e in luoghi diversi? Quanto l’incontro ci può aiutare a far sì che vinca la nostra umanità sul pregiudizio creato dalla mancanza di conoscenza di quello che è il carcere?
Il gruppo che conduco, formato da alcuni dei residenti della Casa soggiorno, si chiama “Oltre le nostre fragilità”. Spero che si riesca a vedere che quello che ci accomuna sono proprio le nostre fragilità e come attraverso queste il Signore ci spinga “oltre”, al vero incontro con l’altro, privo da una distinzione noi/loro, da giudizio e dal pregiudizio. In fondo siamo tutti uguali e fragili e Dio ci ama proprio partendo dalla nostra fragilità.
Questo incontro è importante per far nascere ponti che valorizzino la bellezza di cui ogni essere umano è portatore e al quale il Signore chiede di dare voce per arricchire l’umanità, dice un ragazzo.
I professionisti che hanno accompagnato i ragazzi in questa giornata sono la dott.ssa Valetto Martina, la dott.ssa Buzzi, il presidente della cooperativa Marchetto Matteo, il cappellano del carcere Don Marco Pozza. Tutti loro hanno ribadito come siano importanti momenti come quello vissuto martedì per i detenuti, per far sì che riescano a fare esperienze ricche di bellezza, legami veri e in semplicità.
Nella sua omelia don Marco ha detto: «Forse voi non riuscite a rendervi conto di quale miracolo è successo oggi in mezzo a voi: noi che ci lavoriamo dentro, prima ci guardavamo e ci dicevamo, che bello vedere i ragazzi come parlano, giocano e scherzano, come servono in tavola. Se tu ti senti amato, il male non riesce a fare nulla dentro di te. È come se quell’affetto, quel bene, quella bellezza diventasse una forma di vaccino contro il male: ecco perché San Filippo Neri diceva ‘il demonio odia la gente allegra’. Prima quando si giocava a carte era bellissimo, così come quando si condivideva un pasto. Siete stati seduti vicino a gente che magari quando la vedi alla televisione ti fa paura perché pensi sia gente cattiva. Invece, sono ragazzi che potrebbero essere i vostri figli, i vostri nipoti, i vostri amici che per delle circostanze si sono trovati a compiere dei gesti brutti. Stanno pagando perché è giusto che si paghi se si sbaglia, ma avete visto che pagando stanno diventando persone diverse… Concludo dicendovi grazie, perché noi lo sappiamo che non è facile voler bene alle persone che hanno commesso del male nella vita. Non è facile, però voi siete stati bravi e vi ringraziamo perché ci avete aperto le porte di casa vostra, perché non vi siete messi tutti da una parte a mangiare e avete detto voi state di là, ma ci avete fatto spazio tra voi».
Claudia De Nadai, educatrice
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