La montagna è tante cose e potremmo considerarla in modo generico come l’andare dal basso all’alto, dal piano al ripido, dal centro alla periferia. Oppure provare a distinguere la montagna dall’altitudine: alta, media, bassa. E poi c’è un’altra suddivisione possibile: montagna ricca e montagna povera. Da una parte le località gettonate dove gli appartamenti costano come se fossero nel centro di una capitale europea, dall’altra la montagna povera che arranca con mille problemi intrecciati tra loro e dove gli uni sembrano la causa degli altri e viceversa: denatalità, spopolamento, trasporti, case serrate e così sportelli pubblici, scuole, negozi.
Chi vive nell’ampia provincia bellunese, a cospetto delle Dolomiti e di tutte le altre vette e valli potrebbe portare un punto di vista sulla montagna che comincia con la memoria.
Guardare indietro nel tempo significa mettere a fuoco il vecchio mondo contadino di montagna con quelle vite magre, ossute, affaticate dal pendio e che costringeva alla salita-discesa del lavoro che era fienagione, allevamento, coltivazione, pascolo, artigianato, lavori boschivi, estrazione di pietra e minerali; una montagna che era emigrazione, separazione dalle persone care e dai paesaggi, abbandono delle case in cerca di un futuro migliore.
Tutta questa epopea di uomini e donne aveva al centro il lavoro, declinato in tante forme: il saper fare, l’investire, il produrre, l’inventare che si è espresso anche nella industrializzazione delle vallate con le fabbriche e delle montagne con l’industria dello sci. Ciò che mi sembra più importante oggi è quella vecchia propensione contadina del lavoro che è cura di quanto si ha intorno. Ecco che quella pratica assidua, cocciuta, quasi folle del montanaro nel bosco, nel prato, nella casera – e così sentiero, cunetta, argine, pendio – è il grande insegnamento. Un fare-curativo di ognuno e di tutti dentro quella missione speciale che è oggi la salvaguardia e la protezione dell’ambiente, della biodiversità, delle superfici montane ancora non cementificate.
Accanto a questo anche la cura dei paesi, dei borghi, dei piccoli agglomerati secolari, dove è necessario ristrutturare le vecchie case dei montanari e delle montanare, quelle abitazioni chiuse e ingrigite dal tempo che erano il bene più caro di chi è emigrato, o è vissuto prima di noi, e finché ha potuto ne ha avuto cura. E tutto intorno lasciamo il più possibile la montagna alla montagna.
Antonio G. Bortoluzzi (scrittore)
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1 commento
FRANCO PIACENTINI
Caro Antonio, veramente un’ ottima e condivisione opinione !!! Un editoriale più che opportuno e di grande attualità !!! SOS Montagnana !!! Saluti cordiali !!!