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mercoledì 15 Gennaio 2025,

Il riscatto del “People”: sfide e opportunità per la montagna

Lezioni di “People strategy” di Luciano Malfer

Inizia questa settimana una nuova rubrica curata da Luciano Malfer, Research and Family Development Manager della Fondazione Bruno Kessler di Trento. Da anni Malfer si occupa di politiche della famiglia, di comunità e di strategie contro lo spopolamento della montagna. La rubrica presenterà una serie di approfondimenti proprio sulla “strategia per il futuro delle Terre Alte, mettendo al centro la Persona”.  

“Il futuro delle aree montane è strettamente legato alla dimensione demografica, fondamentale per il rilancio economico, sociale e ambientale. La storia mostra che contrastare la marginalizzazione di questi territori è stato complesso anche con un moderato declino demografico. In caso di cali più marcati, le difficoltà si aggravano, mettendo a rischio la sopravvivenza e la sostenibilità. Le proiezioni del Rapporto Annuale ISTAT (maggio 2024) e del Rapporto Italia 2024 del Censis (dicembre 2024) confermano un drammatico spopolamento delle aree interne e montane, accompagnato da un inesorabile invecchiamento della popolazione.”

Il Rapporto Our Common Future (Rapporto Brundtland, 1987), pubblicato dalla Commissione Mondiale su Ambiente e Sviluppo (WCED) delle Nazioni Unite, introdusse il concetto di sviluppo sostenibile, definendolo come “lo sviluppo che soddisfa i bisogni del presente senza compromettere la capacità delle future generazioni di soddisfare i propri”. Questa visione evidenziò la necessità di promuovere politiche territoriali di lungo periodo orientate al bilanciamento delle dimensioni economiche, sociali e ambientali.

Le tre magiche “P”: people, profit, planet

L’approccio del Triple Bottom Line, proposto nel Rapporto Brundtland e fondato sul modello delle “3P” (People, Profit e Planet), dava quasi per scontata la dimensione “People” in un’epoca in cui la principale preoccupazione era l’eccessiva crescita della popolazione. Il Rapporto The Limits to Growth (1972) del Club di Roma aveva già evidenziato i rischi di uno sviluppo incontrollato, delineando scenari di collasso del “sistema mondo” dovuti al superamento dei “limiti” ambientali, economici e demografici. Sebbene il rapporto sottolineasse la necessità di controllare la crescita demografica, il collasso del sistema veniva attribuito ai limiti strutturali del sistema globale nel sostenerla. La dimensione “People” non era percepita come una risorsa scarsa, ma piuttosto come un fattore critico associato alla pressione demografica, contribuendo alle sfide di uno sviluppo non sostenibile.

Nel tempo, le priorità si sono concentrate principalmente sulle strategie legate al “Planet”, come dimostrato dall’impegno dell’Unione Europea nelle politiche ambientali, culminato nell’European Green Deal (2021-2027) e supportato da iniziative globali come l’Agenda 2030 delle Nazioni Unite. Eventi internazionali, tra cui la 29ª Conference of Parties (COP29) tenutasi a Baku nel novembre 2024, hanno ulteriormente rafforzato il focus sulle politiche climatiche, confermando la centralità della dimensione “Planet” nelle strategie globali.

Per quanto riguarda la dimensione del “Profit”, essa è stata storicamente predominante nel dibattito economico e finanziario. Dall’economia del Far West, simbolo di un’espansione economica rapida e poco regolamentata, al Turbocapitalismo descritto da Edward Luttwak (Turbo-Capitalism: Winners and Losers in the Global Economy, 1999), il focus si è spesso concentrato sulla crescita economica, spesso a scapito delle altre due “P”, il “Planet” e il “People”.

La finanziarizzazione e la globalizzazione dell’economia hanno amplificato la disconnessione tra mercati finanziari ed economia reale, aumentando le disuguaglianze e compromettendo la sostenibilità sociale. In risposta alla crisi inflazionistica, la Banca Centrale Europea, attraverso l’Asset Purchase Programme (2022), ha integrato la sostenibilità nelle politiche monetarie. La Relazione Annuale della Banca d’Italia (2023) evidenzia inoltre l’urgenza di affrontare le pressioni inflazionistiche e promuovere un accesso più equo alle opportunità economiche. La Banca Mondiale (2023) ha sottolineato la necessità di riforme per ridurre le disuguaglianze e garantire una partecipazione più inclusiva ai benefici economici. Questi interventi sono citati a titolo esemplificativo, senza voler richiamare eccessivamente l’attenzione sulle dinamiche globali, ma per evidenziare come la “P” di “Profit” resti centrale nelle strategie economiche globali.

Se il Rapporto Brundtland avvertiva del rischio di compromettere i bisogni delle “generazioni future”, oggi il paradosso è ancora più drammatico: senza interventi decisivi, le “generazioni future” rischiano di non nascere affatto. È come discutere di nutrire chi non esiste, progettare un futuro che non avrà mai custodi. Nei territori montani, questa assenza si traduce in un vuoto irreversibile: la dimensione del “People”, già fragile, non è solo una risorsa, ma l’unico antidoto al collasso della sostenibilità, della coesione sociale e dell’equilibrio territoriale. La mancata nascita delle generazioni future non è un’ipotesi lontana, ma una minaccia concreta che pone in discussione l’esistenza stessa di intere comunità.

Ma bisogna fare i conti con le tre “T”

A complicare ulteriormente la situazione è il necessario raccordo con le tre transizioni epocali: ambientale, demografica e digitale. In un sistema accelerato, dove ogni aspetto è interconnesso secondo la logica dell’economia dell’astronave (Boulding, 1966), il modello delle 3P – People, Planet, Profit – deve confrontarsi con le 3T – Transizione Ambientale, Demografica e Digitale. La crisi climatica richiede scelte sostenibili e coraggiose; il declino demografico minaccia coesione sociale ed equilibrio economico; la transizione digitale, trainata da tecnologie come l’intelligenza artificiale, la robotica e il 5G, offre opportunità ma amplifica i rischi di disuguaglianza e divario infrastrutturale. Integrare le 3T nel modello delle 3P è una sfida cruciale per garantire un futuro sostenibile e inclusivo.

La centralità del “People”

In questo contesto, la “P” di “People” deve tornare al centro delle strategie globali, guidando una visione innovativa e coraggiosa. La People Strategy rappresenta un esempio concreto di questo approccio. Basata su un modello olistico, mira a coinvolgere istituzioni, comunità locali, imprese e società civile in un’alleanza strategica per affrontare le sfide del nostro tempo. Questo modello incarna il riscatto della “P” di “People”, troppo spesso data per scontata, restituendole un ruolo centrale nel bilanciare le transizioni ambientale, demografica e digitale, e nel costruire un futuro sostenibile, inclusivo e prospero.

Nei prossimi articoli saranno presentati casi e metodologie ispirati al New Public Family & People Management, con modelli per coinvolgere pubblico e privato nello sviluppo di un welfare generativo. L’approccio mira a superare i paradigmi tradizionali, valorizzare il capitale territoriale inutilizzato, promuovere l’attrattività e costruire un modello di sviluppo sostenibile e inclusivo.

Innovare per cambiare i paradigmi è indispensabile, ma l’innovazione è spesso un atto di ribellione contro lo status quo, che richiede il coraggio di rischiare e la capacità di affrontare incomprensioni. Come infatti ammoniva Machiavelli (Il Principe, 1513):  “…E debbesi considerare come non è cosa più difficile a trattare, né più dubbia a riuscire, né più pericolosa a maneggiare, che farsi capo ad introdurre nuovi ordini. Perché l’introduttore ha per nemici tutti coloro che degli ordini vecchi fanno bene; e tepidi difensori tutti quelli che degli ordini nuovi farebbero bene“. Eppure, non innovare equivale alla vera follia: continuare a ripetere le stesse azioni aspettandosi risultati diversi. La sfida sta nel rompere schemi consolidati e avere l’audacia di intraprendere nuovi percorsi, anche quando questi sembrano improbabili o sfidano la logica convenzionale. È proprio in questi momenti che si gettano le basi per un cambiamento autentico e trasformativo.

Luciano Malfer

Nato a Trento il 9/1/62. Dal 1995 ha svolto incarichi dirigenziali presso la Provincia autonoma di Trento. Si è occupato di politiche abitative, ambientali, trasporti pubblici, qualità, ICT, sociali e familiari. Dal 2011 al 2023 ha istituito e ricoperto l’incarico di Dirigente generale dell’Agenzia provinciale per la coesione sociale sviluppando standard family friendly ed il modello dei distretti famiglia. Laurea in Economia e Commercio – indirizzo aziendale, conseguita presso l’Università di Trento. Master interdisciplinare sulla progettazione ambientale organizzato dalla Pomona University (California U.S.A.). Dal 2004 è iscritto all’Ordine dei Giornalisti. È autore di diverse pubblicazioni su tematiche sociali. È membro esperto del Comitato Tecnico Scientifico dell’Osservatorio Nazionale delle politiche familiari. Attualmente è Research and Development Family Manager presso la Fondazione Bruno Kessler.

Luciano Malfer

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