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lunedì 27 Gennaio 2025,

Il mais sponcio, da un seme nella tasca dei migranti a re della Valbelluna. Mangiarlo è un atto di resistenza

La terza uscita della rubrica «L’Amico a tavola» sulla cucina, prodotti tipici, piatti e tradizioni alimentari del nostro territorio bellunese

Veneti polentoni. C’è chi si offende, eppure non dovrebbe. In Veneto si coltivano infatti le tre migliori varietà di mais da polenta di tutta Italia: il Biancoperla in pianura, il marano vicentino e il mais sponcio bellunese, ora agli albori della celebrità. Questa varietà, con le sue cariossidi appuntite e di un giallo intenso, deve il suo nome alla forma dei semi, allungati, che “pungono” al tatto; si chiama anche “rostrato” per lo stesso motivo. La polenta che se ne trae è giallo acceso, quasi arancione, con le classiche pagliuzze marroni, tipiche del mais macinato a pietra. Si tratta di una polenta soda, saporita e leggermente granulosa che è perfetta per accompagnare i piatti di montagna.

Un legame profondo con la Valbelluna

La coltivazione di mais nella Valbelluna è documentata già dal 1588 in un testo feltrino; tuttavia, riferimenti specifici al mais sponcio compaiono solo in due saggi bellunesi del 1882 e del 1887. La coltivazione di questa varietà risale, con discreta certezza, proprio alla fine dell’800, e fu conseguenza delle migrazioni delle popolazioni venete verso il Sud America e il Centro America. Un seme portato in tasca dai migranti che rientravano a casa, come spesso accade, è stato il germe di una nuova storia. Oggi la casa del mais sponcio è la Valbelluna, soprattutto i comuni di Cesiomaggiore, Feltre e Santa Giustina, dove il terreno e le condizioni climatiche garantiscono un’ottima qualità, anche se le stagioni impazzite degli ultimi anni hanno fatto calare la resa per ettaro. Eppure la storia del mais sponcio non è stata lineare.

Lo studio e la conservazione

Nel corso del Novecento la coltivazione del mais sponcio ha infatti subito un declino in favore di varietà industriali più produttive: con il mais sponcio si producono circa 40 quintali per ettaro, mentre in ambienti con clima più favorevole si può arrivare a 60 quintali ettaro, fino ai 90 quintali per ettaro delle varietà ibride delle coltivazioni industriali. Grazie però ai “progetti di recupero del germoplasma cerealicolo” promossi dalla Regione Veneto a partire dal 1999, la coltivazione del mais sponcio è stata reintrodotta su larga scala nella Valbelluna. Gli operatori di questa rinascita sono tre: l’Istituto superiore di agraria di Feltre, che ha creato una banca in cui le sementi sono conservate e riprodotte, per poi essere donate a chi ne faccia domanda; la Cooperativa Agricola La Fiorita di Cesiomaggiore con i suoi venti agricoltori consociati che producono ogni anno dagli 800 ai 1200 quintali di mais, senza usare alcun prodotto chimico; e il Consorzio di Tutela del mais sponcio, nato nel 2008 come conseguenza del lavoro della scuola e della cooperativa, per proteggere e promuovere questo prodotto, senza però avere interessi commerciali nella filiera.

Il riconoscimento come Presidio Slow Food

Da quando nel 1999 è cominciata la sua rivalutazione, il mais sponcio ha fatto parecchia strada, conquistando diverse mostrine da appuntare alla sua casacca. Innanzi tutto è diventato un P.A.T., cioè un prodotto agroalimentare tradizionale. È poi venuto il momento del riconoscimento internazionale come Presidio Slow Food, e del suo inserimento nell’Arca del Gusto, un’emanazione di Slow Food che raccoglie i prodotti agroalimentari di tutto il mondo che rischiano di essere dimenticati. Da qui è cominciata la ribalta, per esempio la partecipazione a Terra Madre, la grande fiera dedicata alla biodiversità che si tiene ogni due anni a Torino. Ma anche il supporto alla vendita diretta attraverso mercati contadini e la promozione del mais sponcio come ingrediente scelto dall’alta ristorazione. E infine c’è stato un altro riconoscimento, meno mediatico ma altrettanto importante: il mais sponcio è l’unica “varietà da conservazione in Veneto”, cioè l’unica varietà di semi che può essere conservata e venduta al di fuori del registro delle ditte semenziere, un organo di controllo sul commercio delle sementi. La disciplina delle sementi è materia molto complessa e fortemente regolamentata, e spesso a prevalere sono gli interessi commerciali a discapito di quelli ambientali.

La raccolta dei semi.

Mangiare il mais sponcio è un atto di resistenza

Quasi sempre scegliere una varietà del proprio territorio, sostenere gli agricoltori e le cooperative locali è un gesto politico. Si tratta di piantare un seme – è proprio il caso di dirlo – per ricostruire un’agricoltura che pensi alle persone e all’ambiente, oltre che al mercato. E poi la polenta quasi aranciata e soda non è il solo modo per gustare questo mais; alla cooperativa trasformano i chicchi in gallette senza glutine e la farina in biscotti, gli sponciotti, che si ispirano agli zaleti veneziani.

Rossella Neri

«Filologa per formazione, mangiona per passione. Da quasi vent’anni scrivo di cibo, locali e ristoranti per il magazine 2night.it e per dissapore.com Faccio parte della generazione dei gastronomi della crisi: da quando il ristorante gourmet non è più alla portata delle redazioni, mi sono specializzata in lievitati, grandi e piccoli, pizze e gelati. Le storie mi piacciono tutte, se parlano di sostenibilità ancora di più».

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