Veneti polentoni. C’è chi si offende, eppure non dovrebbe. In Veneto si coltivano infatti le tre migliori varietà di mais da polenta di tutta Italia: il Biancoperla in pianura, il marano vicentino e il mais sponcio bellunese, ora agli albori della celebrità. Questa varietà, con le sue cariossidi appuntite e di un giallo intenso, deve il suo nome alla forma dei semi, allungati, che “pungono” al tatto; si chiama anche “rostrato” per lo stesso motivo. La polenta che se ne trae è giallo acceso, quasi arancione, con le classiche pagliuzze marroni, tipiche del mais macinato a pietra. Si tratta di una polenta soda, saporita e leggermente granulosa che è perfetta per accompagnare i piatti di montagna.
Un legame profondo con la Valbelluna
La coltivazione di mais nella Valbelluna è documentata già dal 1588 in un testo feltrino; tuttavia, riferimenti specifici al mais sponcio compaiono solo in due saggi bellunesi del 1882 e del 1887. La coltivazione di questa varietà risale, con discreta certezza, proprio alla fine dell’800, e fu conseguenza delle migrazioni delle popolazioni venete verso il Sud America e il Centro America. Un seme portato in tasca dai migranti che rientravano a casa, come spesso accade, è stato il germe di una nuova storia. Oggi la casa del mais sponcio è la Valbelluna, soprattutto i comuni di Cesiomaggiore, Feltre e Santa Giustina, dove il terreno e le condizioni climatiche garantiscono un’ottima qualità, anche se le stagioni impazzite degli ultimi anni hanno fatto calare la resa per ettaro. Eppure la storia del mais sponcio non è stata lineare.
Lo studio e la conservazione
Nel corso del Novecento la coltivazione del mais sponcio ha infatti subito un declino in favore di varietà industriali più produttive: con il mais sponcio si producono circa 40 quintali per ettaro, mentre in ambienti con clima più favorevole si può arrivare a 60 quintali ettaro, fino ai 90 quintali per ettaro delle varietà ibride delle coltivazioni industriali. Grazie però ai “progetti di recupero del germoplasma cerealicolo” promossi dalla Regione Veneto a partire dal 1999, la coltivazione del mais sponcio è stata reintrodotta su larga scala nella Valbelluna. Gli operatori di questa rinascita sono tre: l’Istituto superiore di agraria di Feltre, che ha creato una banca in cui le sementi sono conservate e riprodotte, per poi essere donate a chi ne faccia domanda; la Cooperativa Agricola La Fiorita di Cesiomaggiore con i suoi venti agricoltori consociati che producono ogni anno dagli 800 ai 1200 quintali di mais, senza usare alcun prodotto chimico; e il Consorzio di Tutela del mais sponcio, nato nel 2008 come conseguenza del lavoro della scuola e della cooperativa, per proteggere e promuovere questo prodotto, senza però avere interessi commerciali nella filiera.
Il riconoscimento come Presidio Slow Food
Da quando nel 1999 è cominciata la sua rivalutazione, il mais sponcio ha fatto parecchia strada, conquistando diverse mostrine da appuntare alla sua casacca. Innanzi tutto è diventato un P.A.T., cioè un prodotto agroalimentare tradizionale. È poi venuto il momento del riconoscimento internazionale come Presidio Slow Food, e del suo inserimento nell’Arca del Gusto, un’emanazione di Slow Food che raccoglie i prodotti agroalimentari di tutto il mondo che rischiano di essere dimenticati. Da qui è cominciata la ribalta, per esempio la partecipazione a Terra Madre, la grande fiera dedicata alla biodiversità che si tiene ogni due anni a Torino. Ma anche il supporto alla vendita diretta attraverso mercati contadini e la promozione del mais sponcio come ingrediente scelto dall’alta ristorazione. E infine c’è stato un altro riconoscimento, meno mediatico ma altrettanto importante: il mais sponcio è l’unica “varietà da conservazione in Veneto”, cioè l’unica varietà di semi che può essere conservata e venduta al di fuori del registro delle ditte semenziere, un organo di controllo sul commercio delle sementi. La disciplina delle sementi è materia molto complessa e fortemente regolamentata, e spesso a prevalere sono gli interessi commerciali a discapito di quelli ambientali.
Mangiare il mais sponcio è un atto di resistenza
Quasi sempre scegliere una varietà del proprio territorio, sostenere gli agricoltori e le cooperative locali è un gesto politico. Si tratta di piantare un seme – è proprio il caso di dirlo – per ricostruire un’agricoltura che pensi alle persone e all’ambiente, oltre che al mercato. E poi la polenta quasi aranciata e soda non è il solo modo per gustare questo mais; alla cooperativa trasformano i chicchi in gallette senza glutine e la farina in biscotti, gli sponciotti, che si ispirano agli zaleti veneziani.
«Filologa per formazione, mangiona per passione. Da quasi vent’anni scrivo di cibo, locali e ristoranti per il magazine 2night.it e per dissapore.com Faccio parte della generazione dei gastronomi della crisi: da quando il ristorante gourmet non è più alla portata delle redazioni, mi sono specializzata in lievitati, grandi e piccoli, pizze e gelati. Le storie mi piacciono tutte, se parlano di sostenibilità ancora di più».
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