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domenica 23 Marzo 2025,

“Rinoceronte” Trump e l’Europa che riarma

Di Giovanni Ferrò, caporedattore di Jesus e Credere

Molti si aspettavano il classico elefante nella cristalleria: goffo, ingombrante, inadatto, temevano che Donald Trump combinasse guai e facesse danni. Non credo, però, si aspettassero davvero il ciclone che si sta realizzando sotto i nostri occhi. Secondo Daniel Horan, editorialista del settimanale National Catholic Reporter, il presidente americano si sta comportando non come un maldestro pachiderma ma come un rinoceronte inferocito che carica a testa bassa nel bel mezzo del salotto buono di casa.

In due mesi alla Casa Bianca, il commander in chief è riuscito, in ordine, a minacciare sanzioni contro i vicini di casa messicani e canadesi, ad annunciare l’invasione di un pezzo di Danimarca (la Groenlandia), a ventilare una guerra con Panama per riprendersi il Canale, a insultare i fidi alleati europei e, ciliegina sulla torta, a bullizzare in mondovisione il presidente di un Paese che sta lottando strenuamente contro l’invasione russa (Zelensky). Attenzione, però: non si tratta di improvvisati colpi di testa o di intemerate estemporanee. Dietro le azioni di Donald Trump c’è una strategia meditata e una visione geopolitica precisa. Per dirla ancora più chiaramente, il presidente Usa ha tutta l’intenzione di rivoluzionare l’ordine mondiale così come lo abbiamo conosciuto e, per raggiungere questo obiettivo, ha la necessità di disarticolare le istituzioni su cui si sono rette finora le relazioni internazionali.

A metà strada tra la reincarnazione del presidente Teddy Roosevelt e la personificazione di Vlad l’Impalatore, Trump concepisce i rapporti diplomatici come una faccenda di “bastone e carota”, ma senza carota. Nel mondo – secondo la sua visione – comanda chi mena più forte. Così come in economia vince chi è più furbo e ha più soldi. Le regole – ogni regola, che si tratti di quelle morali, politiche o commerciali – sono roba per pappemolli. Dunque, basta con tutti questi organismi multilaterali che hanno cercato di stemperare le tensioni internazionali, garantendo al mondo ottant’anni di relativa stabilità. L’Onu? Una inutile congrega di fannulloni. La Fao, Usaid e gli altri organismi umanitari? Dei mangiapane a tradimento. La Nato? Un impiccio o un imbroglio. E l’Unione europea? Per Trump è la peggiore di tutti: 27 scrocconi che non pagano i conti e vogliono dettare legge come fossero loro a “dare le carte”.

Forse siamo stati un po’ brutali nella sintesi, ma alla fine della fiera questo è il quadro della situazione. E a noi europei non resta che una domanda fondamentale: che fare? Come reagire di fronte a un partner americano che in poche settimane ha sconfessato ottant’anni di alleanze politico-militari e di partenariato economico-commerciale? Ancora sotto choc per il voltafaccia di Trump, i leader europei riuniti pochi giorni fa a Bruxelles hanno provato ad abbozzare una risposta, che di fronte alla guerra della Russia in Ucraina («una sfida esistenziale per l’Europa») apre allo sforamento dei tetti di bilancio per garantire un’impennata nelle spese per la difesa. In pratica, come ha spiegato il presidente polacco Tusk, «l’Europa deve entrare nella corsa agli armamenti iniziata dalla Russia e vincerla».

Al di là delle cifre in ballo per questo riarmo europeo (800 miliardi? Di più?), è sulla sostanza della presa di posizione che tocca interrogarsi. Davvero pensiamo che l’Ue possa risollevarsi scimmiottando la logica trumpiana del “picchio più forte, dunque comando”? Davvero immaginiamo che aumentare la produzione di armamenti serva a garantire quell’identità forte e condivisa di cui l’Unione ha urgente bisogno? È vero che Mario Draghi aveva incitato Bruxelles a «decidere qualcosa», purché fosse. Ma bisogna ripartire dai fondamenti: perché il sogno di un’Europa come “potenza gentile” non può avverarsi se gli Stati membri non delegano a Bruxelles quote più consistenti delle proprie prerogative nazionali e se le istituzioni europee non possono decidere in altro modo che all’unanimità. Un’accozzaglia di eserciti nazionali, insomma, non faranno una forza veramente europea. Così come un’accozzaglia di interessi nazionali non renderanno l’Europa quella potenza gentile e pacifica di cui il mondo ha seriamente bisogno.

di Giovanni Ferrò

caporedattore di Jesus e Credere

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