La seconda giornata delle Settimane Sociali a Trieste inizia a porre l’attenzione sulla dimensione partecipativa dell’evento. Se a contendersi idealmente la scena del primo giorno sono stati i grandi discorsi, dal Presidente della Repubblica al cardinale Matteo Zuppi passando per il vescovo di Trieste, Enrico Trevisi, i protagonisti della seconda giornata sono stati delegati che hanno animato le decine di gruppi di lavoro.
La mattinata ha avuto inizio, però, con una riflessione biblica, condotta dal Priore della Comunità di Bose, a cui sono seguite due relazioni all’assemblea plenaria dei delegati. La prima, Amare la democrazia nelle sfide del presente del prof Michele Nicoletti, si è posta nella scia del discorso del presidente Mattarella, sviluppando il ragionamento intorno a sei sfide alle quali le democrazie dovranno dimostrare di saper rispondere.
In primo luogo c’è la questione ambientale, sfidante anche perché evidenzia la fragilità di un sistema democratico che troppo spesso si è dimostrato inefficiente o incapace di prendere decisioni rapide. Poi c’è la sfida rappresentata dalle migrazioni, quella economica e quella rappresentata dalla guerra che bussa sempre più prepotentemente alle porte di casa nostra. E poi ancora l’innovazione tecnologica e le nuove frontiere dell’intelligenza artificiale e dell’elaborazione dell’enorme mole di informazioni di cui siamo in possesso, per finire con l’usura dei meccanismi democratici, del sistema e dei partiti che di fronte a questi nuovi inciampi dimostrano tutte le loro contraddizioni. «Se dobbiamo andare al cuore della democrazia, dobbiamo avere a cuore la democrazia» ha esortato il docente dell’Università di Trento, per poi provocare ulteriormente i delegati: «è più facile volere la nostra libertà, ma volere la libertà degli altri è più complicato. Quando scopriamo di avere un potere, ci pensiamo re».
Ad un vecchio Meeting di Rimini, Giulio Andreotti aveva con la sua consueta chiarezza sviluppato un pensiero simile. «In teoria siamo tutti contro le dittature; ma sapete qual è la dittatura, la più difficile a essere sconfessata da ognuno di noi? – si era chiesto con bruciante realismo il politico democristiano, per poi rispondersi con uguale schiettezza – È la propria! Perché uno può essere tentato di ritenersi illuminato, di ritenere che gli altri sbaglino». Se il seme della democrazia dobbiamo custodirlo caro, insomma, dobbiamo ricordarci che la malerba dell’autoritarismo non cresce poi molto distante dal nostro giardino.
La seconda riflessione alla plenaria è stata proposta da Annalisa Caputo dell’Università degli studi di Bari. Nel suo discorso In prima persona: abitare e costruire la casa comune della democrazia, la docente ha evidenziato tanto le contraddizioni e le fragilità del percorso democratico quanto le sue virtù di cui dobbiamo prenderci cura.
Ma è nella seconda parte della mattinata che i gruppi hanno potuto sperimentare quel metodo Grandi, quel sistema di discernimento comunitario sviluppato in questi anni di lavoro da Giovanni Grandi e dal team delle Settimane Sociali che trova nella web app dedicata il suo strumento forse più riconoscibile ed immediato. Tutto è digitalizzato, schematizzato, fruibile online, dal materiale di studio alla raccolta delle riflessioni, delle sensazioni sotto forma di feedback dei delegati. Un percorso articolato di scrittura, lettura, analisi e riscrittura che ha fin da subito impegnato i delegati in un cammino tanto di conoscenza reciproca quanto di sintesi che anticipa ciò che affronteranno nei prossimi giorni. Quello di standardizzare le procedure per favorire la condivisione e la partecipazione rappresenta una vera sfida oltreché un impegno per i delegati, anche a causa della grande eterogeneità dei gruppi di lavoro.
Diverse esperienze, età e provenienze portano a visioni, approcci spesso opposti che, però, hanno uguale diritto di espressione e di ascolto. Un diritto che va allenato e che, se non gestito e organizzato, viene trascurato o non trova spazio, vanificando quella partecipazione che pure tutti auspicano. Solo domenica, a giochi finiti, sapremo se i gruppi hanno lavorato bene, se questo metodo di lavoro ha funzionato e lo capiremo quando le tante sintesi contribuiranno a creare quel patchwork che saranno i documenti conclusivi della Settimana Sociale. Un lavoro di cucitura e ri-cucitura sociale come quella che hanno fatto i bambini e ragazzi di Trieste quando hanno creato la grande tovaglia lunga 90 metri che ora è esposta fuori dal palazzo dei convegni, simbolo tangibile di partecipazione e del loro impegno per tentare di costruzione di una società migliore che non lasci scarti attorno a sé.
Gianluca Salmaso
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