«Come oggi, allora, era di mercoledì» anche se, a differenza di oggi, il 9 ottobre 1963 era una giornata mite, soleggiata, quasi di fine estate. Inizia così il discorso tenuto dal presidente della Provincia Roberto Padrin, in occasione del 61° anniversario del disastro che ha voluto ancor prima salutare e ringraziare per la presenza i superstiti con i loro familiari e le autorità civili, militari e religiose.
«Quelle campane “da Longaron” che suonavano a distesa e dicevano d’essere tanto potenti da essere udite in tutta la Valle del Piave, fino ai paesi della Valle del Vajont. La vita scorreva felice nella nostra valle», continua il racconto di quella che sembrava essere una giornata come tutte le altre.
Ma di lì a poco tutto sarebbe cambiato. Poche ore dopo, «270 milioni di metri cubi di terra e roccia, unita a milioni di metri cubi di acqua in movimento, avrebbero provocato una forza d’urto pari a due volte la potenza della bomba atomica scaricata su Hiroshima. L’onda assassina ha cambiato la storia dei nostri paesi distruggendoli: 1.910 persone sono state uccise contemporaneamente in pochissimi minuti».
Memoria e solidarietà sono i due pilastri da cui ripartire. Come anche il presidente della Regione Luca Zaia aveva scelto di fare ieri, segue, infatti, un importante cenno al futuro, partendo proprio dalla memoria, di cui faticosamente si sono fatti carico i superstiti dopo aver provato a elaborare il tanto dolore e trasformarlo in forza d’animo. «Dobbiamo fare eco al dolore di quanti si sono salvati e incamminati su un percorso di condivisione e forte attaccamento per stare assieme e perorare uniti il dovere di ricordare, fare memoria, non dimenticare», ha sottolineato Padrin.
Un riferimento anche all’anno appena trascorso e ai suoi momenti più significativi. Primo fra tutti sicuramente «l’immagine del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella che sosta tra le lapidi del cimitero di Fortogna, e che dalla diga rivolge un appello che è insieme un messaggio di scuse alle vittime e un monito fermo al “mai più un altro Vajont”. Un monito che dobbiamo fare nostro, visto che non distante da qui si sta pensando di costruire un’altra diga, nella valle del Vanoi, con dinamiche che non possono non farci urlare di sdegno».
Senza dimenticare, poi, il coro dei bambini che lo scorso 9 ottobre ha accompagnato la tromba del maestro Fresu, i sorrisi dei superstiti nell’incontro a Roma con Papa Francesco, l’impegno della Fondazione Vajont nel portare all’Archivio di Stato di Belluno il “fondo processuale” del Vajont, fino al ritorno di centinaia di soccorritori e dei loro ricordi.
Il presidente della Provincia ha infine ricordato l’importanza del “pellegrinaggio” sui luoghi della tragedia di migliaia di persone che arrivano da tutto il mondo, circa 150mila solo nell’ultimo anno come hanno confermato i dati della Fondazione giunti nei giorni scorsi. «Da testimoni attenti e rispettosi consegniamo questo carico alla memoria: con i piedi piantati nel ricordo e gli occhi rivolti al futuro, ai nostri giovani affinché anche loro possano sentirsi parte attiva nella storia che ha reso i nostri paesi ricchi della bontà umana sotto l’egida della solidarietà sparsa nel mondo», conclude.
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1 commento
Rita S.
Ecco, il Presidente della nostra Provincia ha indicato l’approccio giusto per visitare i luoghi della tragedia: la consapevolezza di percorrere un “pellegrinaggio”. Attenzione, rispetto, memoria ne sono la conseguenza.