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martedì 19 Novembre 2024,

Vanoi? No, grazie abbiamo già dato

L'editoriale del direttore Alberto Laggia sul numero 45 dell'Amico del Popolo

Grazie, abbiamo già dato. Forse per spiegare il “no” alla diga sul Vanoi, progetto di invaso che dovrebbe sorgere in Trentino, ma che sta a una manciata di chilometri dal territorio bellunese dove sorgono Fonzaso, Lamon, Sovramonte, Arsié. Una diga da 20 milioni di metri cubi d’acqua, dal costo di 170 milioni di euro, che servirebbe a placare la sete delle coltivazioni in pianura.

La settimana scorsa, a conclusione di una marcia lunga 200 chilometri partita dalla val Cortella, sono state consegnate a Venezia in Regione 13.493 firme in calce alla petizione “Vanoi: no alla diga”. A promuoverla comitati e associazioni ambientaliste, ma a sostenere il “no” all’ipotesi progettuale del Consorzio di Bonifica Brenta sono stati in tantissimi, un vero movimento trasversale, dai consiglieri regionali veneti d’opposizione, ma anche di maggioranza, a tanti sindaci; dal Cai, alle Province di Trento e Belluno; e ancora studiosi, artisti, semplici cittadini. Le obiezioni al progetto, previsto in una delle poche valli ancora incontaminate dell’arco alpino, dove scorre il Vanoi, sono rilevanti: la diga causerebbe la distruzione di un ambiente unico; il suo costo sembra spropositato rispetto all’obiettivo, ottenibile con minor impegno finanziario, sghiaiando invasi già esistenti. “Questa montagna ha già dato ampiamente in termini di sfruttamento energetico”, va dicendo il presidente della Provincia, Roberto Padrin.

Ma se a buon diritto c’è chi contesta l’ennesimo “furto” d’acqua alle terre alte, un’obiezione ben più radicale grava sul progetto: questo invaso sorge nel posto sbagliato, perché le montagne che ne delimiterebbero i fianchi sono dannatamente fragili, segnate da smottamenti e frane che ne hanno contraddistinto la recente storia geologica. Questa evidenza non ci rammenta nulla? In altro luogo, forse, potrebbe essere proponibile un progetto di nuova diga, ma non qui.

A soli ottanta chilometri dal Vanoi, lungo la valle del Piave, 61 anni fa accadde il più grande disastro che la storia del nostro Paese ricordi: il Vajont, causato da una diga costruita in un altro posto sbagliato. “Assicurare una cornice di sicurezza alla nostra comunità significa saper apprendere la lezione dei fatti e saper fare passi avanti”, ebbe a dichiarare il presidente Mattarella a Longarone, un anno fa, nel 60° anniversario del disastro. Se ha senso ricordare quel che accadde la notte del 9 ottobre 1963 è perché non accada più. Cioè “imparare dagli errori per non ripeterli”, come ha ammonito Marco Paolini due mesi fa dai prati di Malga Ciapela. E allora, meglio raccontare la storia di un lago mai nato, che convivere ogni giorno temendone l’incombente presenza. Abbiamo già dato abbastanza. Anzi troppo. 

Alberto Laggia

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