Le parole di Giorgio Gaber riecheggiano in testa, perché non avremmo mai immaginato di vivere questo scorcio di storia. 35 anni fa cadeva il muro di Berlino e si aprivano speranzosi orizzonti. Allora con i giovani si cantava: «E segni nuovi oggi nascono già… Ormai non è così strano sentir parlare di una casa comune dove abitare». Anni belli che durarono poco: nel 1991 la guerra del Golfo; nel decennio a seguire le guerre nella ex Jugoslavia; nel 2001 l’attacco alle Twin towers, cui seguì la guerra in Afghanistan; nel 2003 fantomatiche “pistole fumanti” trascinarono il Consiglio di sicurezza dell’Onu a legittimare l’attacco all’Iraq di Saddam Hussein. Così, quasi senza soluzione di continuità, fino alle guerre in Ucraina e in Medioriente, ancora in fiamme. Ma non dimentichiamo Myanmar, Sudan, Nicaragua, Venezuela… un elenco che è quasi impossibile completare. I «cieli nuovi» si son coperti di oscure nubi. Per questo «mi fa male il mondo».
È così amaro abituarsi al rumore di sottofondo della guerra. Stiamo dimenticando ciò che i padri costituenti scolpirono tra le prime righe della Carta su cui rinacque l’Italia, che «ripudia la guerra […] come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali». Fieri di questo principio, ottant’anni dopo l’immane tragedia bellica, vediamo che pure tra gli italiani c’è chi ritiene legittimo e utile l’uso della forza. «Ormai solo un Dio ci può salvare»: così Der Spiegel titolava nel 1976 un’intervista al filosofo Martin Heidegger. Vale anche oggi? Nelle roventi campagne elettorali, qualche candidato si propone come messia pacificatore e molti ne restano ammaliati. Non ci illudiamo! Oggi l’umanità non sembra capace di esprimere leader che cerchino davvero la pace. Ci vuole un aiuto superiore, a cui il credente si affida. Ma anche un laico, in compagnia del credente, sa cercare oltre l’orizzonte umano: l’assoluto condiviso che può salvare sta nella fraternità che tutti accomuna. Non posso uccidere mio fratello, perché coltiva pensieri diversi dai miei. Non posso sentirmi a posto, se lascio morire mio fratello. Ogniqualvolta la violenza uccide una vita, la coscienza protesta come di fronte a un giovane o a un amico gravemente ammalati.
Mercoledì scorso a Beirut si è festeggiato per il «cessate il fuoco», che ha sospeso i raid israeliani e gli attacchi di Hezbollah contro Israele. Tregua fragile, spesso violata, che non permette di parlare di pace. L’indomani però si è riacceso lo scontro armato in Siria e a farne le spese sono, come sempre, soprattutto i civili inermi. Arriverà mai la pace? Eppure ostinatamente ci aggrappiamo a ogni spiraglio di soluzione. Il tempo di Avvento, che prepara i cristiani al Natale, è tempo di speranza: dice che c’è un Dio che ci può salvare.
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1 commento
Giuseppe
Ci può o ci deve salvare?