L'Amico del Popolo digitale

30 L’Amico del Popolo 29 ottobre 2020 - n. 43 L’Amico del Popolo In famiglia Punto famiglia Covid-19, groviglio e caos davanti Al primo posto l’emozione della paura, quindi tante frustrazioni d’impotenza Il mare stupefacente u n piccolo pesce ave- va un’energia scon- finata. Guizzava senza sosta in superficie e in profondità, dove in- dividuava fondali incre- dibili, ogni volta diversi. Era felice quando scopri- va caverne, banchi coral- lini, alghe, piante subac- quee, anfratti sconosciuti. Incontrava pesci di ogni tipo, colore e grandezza. Il pesciolino era inconten- tabile, sempre alla ricerca di novità, non si godeva fino in fondo le infinite bellezze naturali che ogni volta gli si offrivano perché già pensava alle sorprese che avrebbe trovato altrove. Una mattina incontrò un cetaceo che nuotava placido, lento, felice. Gustandosi la freschezza dell’acqua e il paesaggio tutt’intorno, il cetaceo sprizzava gioia. Esclamò: «Tutto qui è molto bello. Troppo bello!». Il pesciolino assentì, ma poi replicò: «Hai ragione. Ma chissà quanti altri posti ci sono altrove, ancora più belli!». Il ceta- ceo precisò: «Io nuoto da una vita. E ti confesso che ho visto tante cose belle. E nulla è più stupefacente del mare!». Il pesciolino stava per replicare. Voleva chiedere: «Che cosa è il mare?». Voleva sapere, voleva capire meglio. Ma il cetaceo era già sparito. Da quell’incontro, nel cuore del pesciolino spuntò un’osses- sione: il mare! Ma dove si trovava il mare? Doveva saperlo. Doveva trovarlo. Doveva scoprirlo. Tutte le volte che incon- trava un pesce, lo bloccava e gli ripeteva la stessa domanda: «Dove si trova il mare?». Qualcuno faceva finta di non sen- tire, qualcun altro gli lanciava un sorriso sornione. Decise allora di cambiare interlocutore. Provò con una splendida pianta. «Ho una domanda per te, cara pianta, alla quale nessuno tra i pesci ha saputo rispondere. Magari tu potrai aiutarmi!». La pianta, finalmente contenta che qualcuno si fosse accorto della sua esistenza, disse: «Dimmi, caro pic- colo». «Il mio problema sembra semplice, ma mi sta assil- lando da tempo: non so dove sia il mare! Qualcuno me ne ha parlato, descrivendolo come la cosa più sbalorditiva. Ci voglio andare. Un grosso pesce mi ha confidato che è un posto stupendo. In queste acque si vedono meraviglie, ma immagino che altrove ve ne siano di più stupefacenti, come ha detto il cetaceo! Quale direzione devo prendere per trovare il mare?». La pianta e ogni sua foglia si misero a tremolare dal ridere. Poi esclamò: «Caro piccolo, se cerchi il mare, non c’è bisogno che ci vai. Ci sei già!». Il pesciolino non capiva. «Che cosa vuol dire: ci sei già?». «Ci stai nuotando dentro, da sempre. È questo il mare!». Il piccolo pesce ebbe una reazione di incredulità e di rab- bia: «Tu stai mentendo! Mi stai imbrogliando! Questo non è il mare, è semplice acqua!». E se ne andò risentito. Il pe- sciolino passò il resto dei suoi giorni a chiedere a ogni pesce e a ogni pianta che incrociava dove fosse il mare. Alla fine si consolò pensando: «Anch’io, come tutti i pesci, un giorno morirò, o accalappiato da qualche rete impossibile da avvi- stare, o divorato da un mostro marino, o perché esaurito dal procedere della naturale vecchiaia. Ma sono sicuro che, un attimo dopo aver esalato l’ultimo respiro, mi troverò immerso nello stupefacente». Quello finalmente sarebbe stato il mare. *** La storia – rielaborata da un racconto di Anthony de Mello (religioso, scrittore e psicoterapeuta indiano) – insegna a guardare la realtà nel modo giusto. Qualcuno commenta- va il racconto precisando: «La realtà è tutta qui, di fronte a noi, ma siamo talmente abituati a guardare nel modo sbagliato che finiamo per non percepirla nel modo giusto. In realtà non è che guardiamo nel modo sbagliato, perché non esistono un modo giusto e uno errato. Ci sono invece un modo consapevole e uno inconsapevole. Si può guardare con gli occhi aperti, oppure con gli occhi socchiusi. L’immagine che ne otteniamo è necessariamente diversa: l’una chiara e distinta, l’altra offuscata e distorta. Guardando il mondo attraverso le palpebre socchiuse, o attraverso occhiali dalle lenti di altra gradazione, la visione risulta non corrispon- dente alla realtà, ma noi non ce ne accorgiamo. Al contra- rio, siamo convinti di vederci benissimo e crediamo che i dettagli che attirano la nostra attenzione siano le cose più importanti. Così ci lamentiamo di una giornata di pioggia lasciandoci sfuggire totalmente la bellezza, l’armonia della natura e dei suoi elementi… puntiamo la nostra attenzione sui rumori sgradevoli del traffico e ci sfugge la risata o il sorriso di un bambino che ci incrocia sul marciapiede. Pic- cole cose? Certo, ma importanti per imparare ad apprezzare le piccole gioie della vita che, unite le une alle altre, possono trasformare in un mondo sorprendente, “stupefacente”, la visuale di chiunque». Storie dal mondo raccolte da Ezio Del Favero «Va bene. Va bene. Ho capi- to. Ma oggi, proprio in questi giorni, cosa sta succedendo nel cuore dei bambini e dei ragazzi? Mi guardano con gli occhi ‘‘così’’ mentre cerco di rassicurarli. Non mi credono. Non so cosa davvero sentano. Vorrei essere in sintonia con loro». La prof, che ha aggan- ciato un dialogo con me, ha fame di sapere, per poter dare rassicurazioni. Difficile, non posso che da- re quanto afferro di persona, ciò che leggo, quanto ascolto da “gente che ascolta”: come educatori, psicologi e – già, proprio loro – venditori e com- mercianti, edicolanti in prima fila. Bastano tre edicolanti e quel che succede risulta chia- rissimo. Anche per i bambini. dati e fatti Infatti, pr ima f rase, di genitori adulti è «sono preoccupata/o, per me e so- prattutto per i miei figli. Ho paura maledetta che succeda loro qualcosa, perché si muo- vono e non si possono tenere fermi». La preoccupazione implica in automatico paura. La paura quindi passa e circola, benché non detta, in modo verbale. La parola esplicita, quando detta, è uti- le. Non detta, in automatico, la paura cresce. Emana fre- quenze ancora più contagio- se, poiché nascoste. Come sa chi ne parla con semplicità e la ammette. Chi parla della paura e la ammette, trasmet- te forza e certezza: siccome ne parli, sento che sei più grande della paura! La cartina di tornasole che rivela la paura, appare nei bambini anche piccoli, quando papà o mamma devono entra- re in isolamento/quarantena. Non sanno cosa è la morte, co- me esperienza – quella altrui, ovviamente – ma sentono co- me perdita definitiva la non vista di ‘‘papy/mamy’’. Istinti- vamente la percepiscono come morte, tanto che devono esse- re rassicurati ogni momento. La cessazione della presenza, non vista e non sentita, que- sta assenza pur temperata dal parlato o dalle immagini al telefonino, è vissuta come perdita irreparabile. E i bimbi tempestano di domande. Que- sta è paura pura. C’è poi l’enigma del non poter toccarsi o stare vicini, proibito giocare insieme e andarsi incontro reciproca- mente. I bambini vedono che gli adulti intorno lo fanno e non lo fanno, per cui entrano in confusione. Spesso totale. Inimmaginabile dagli adulti. La loro confusione è di tipo fisico, comprendente soprat- tutto il corpo che sono, dato che tutte le loro percezioni sono sensoriali, e diventano collegamenti immaginari, fantasie e sogni, senza sa- pere come esprimere il tutto con le parole. Questo modo di essere si estende in graduale diminuzione fino alle Medie, quando assume reazioni spe- cifiche e imprevedibili, in par- te coscienti e in parte reattive e ancora d’impulso. I ragazzi si trovano quindi a sentire tutto insieme, mi- scuglio e groviglio – di qui l’enigma – di paura, rabbia, dolore, con tutta l’impoten- za di non saperlo governare. Tutto ciò sotto la prevalente tensione creata dalla paura (per lo più non nominata). Lo si vede in questo periodo: quando i bambini incontrano altri bambini non sanno più come porsi. Prima si davano incontri festosi, toccandosi, parlandosi e dandosi qualco- sa. Oggi si arrestano di colpo. Si tengono a distanza – immo- bili - e guardano negli occhi l’adulto che sta intorno, con la domanda sospesa sopra la testa: e adesso che faccio? Questo “fritto misto di sen- timenti” tiene oggi costante- mente in allarme i bambini, che rischiano di aggravare il loro stato di solitudine e si trovano ancora di più in con- fusione. Devono fare molte cose che non capiscono e che cozzano contro il loro istinto, la loro fantasia e creatività gioiosa. Di conseguenza portano a casa e a scuola frustrazioni, irrequietezza comportamen- tale, irritazione e cambi im- provvisi nell’azione o attività in corso (mollano di colpo tut- to e vanno a vedere, cercano qualcosa o persone, si pongo- no in un angolo), attaccano briga con i fratelli se li hanno, si lamentano spesso o incas- sano tutto silenziosi (il che è peggio), pongono domande insistenti sulle quali gli adul- ti non sanno che rispondere. Infatti i bimbi sentono dalla televisione e dai social ogni tipo di informazioni (a volte sballate) e quel che è peggio le sentono pure in casa o da adulti importanti per riferi- mento. senso e significato I bambini non sanno e non possono gestire da soli questa fatica emozionale e questa confusione. Vorrebbero avere rassicurazioni, che purtroppo gli adulti non possono fornire. Non siamo nel mondo delle fa- vole, pure se le favole possono servire a rasserenare. Inutile nasconderlo e bisogna dirlo: nessuno di noi sa cosa fare di preciso, oggi, perché sia vali- do per domani. Il coronavirus o la pandemia non sappiamo come affrontarla con sicurez- za e quindi non possiamo an- cora vincerla. Possiamo però fare fami- glia, fare gruppo, cioè farci sentire vicini il più possibile, pure fisicamente (in famiglia e scuola) e soprattutto moral- mente con parole vere. Rife- rite alla realtà e alla realtà più grande che è l’essere vivi. Va proprio affermato que- sto, utilizzando il loro stesso mezzo, che è giocare e conver- sare con loro. Per trovare il senso positivo in questo periodo bisogna de- dicarsi tempo l’uno con l’altro, il che è favorito dalla minore possibilità di muoversi e spo- starsi da casa. Bisogna dare tempo ai pen- sieri, alle cose, alle relazioni, all’ascolto, perché si evolva- no e migliorino. All’opposto non bisogna invece intasare il tempo con pensieri, cose e lavori. «Dare tempo» è cosa mol- to più saggia che «riempire il tempo» con ogni forma di materiale, a cominciare dai pensieri (di solito i colpevoli dell’ansia, veri generatori di ansia). Dare tempo ai bambini è l’unica maniera, semplice e disponibile, per venire a ca- po dei loro turbamenti e delle loro angosce. Sì, non si tiene conto che troppi bambini e ra- gazzi in questo periodo vivo- no in angoscia, perché il loro mondo è stato cambiato e reso scombinato da noi adulti. valutazione Quanto esposto sopra per- mette di vedere quanto suc- cede, in particolare a scuola. Risulta più difficile fare le le- zioni e stare alle lezioni, con richiami continui e pressanti «metti la mascherina» (sul banco si può non tenere, ma se ci si alza e si gira bisogna metterla). La tensione circo- lante nel cuore e nella testa dei bambini impedisce l’at- tenzione e quindi l’apprendi- mento. Il metodo di richiamo o confronto degli insegnanti viene imitato dagli allievi e quindi si creano situazioni caotiche. Tra l’altro i modi di interve- nire e porsi degli insegnanti sono diversi l’uno dall’altro. C’è la persona più ansiosa e precisa, che trasmette tensio- ne, e c’è quella più morbida e tollerante che lascia andare, paragoni e riflessi diversi per i ragazzi, incluse le famiglie e la stessa gestione ammini- strativa. Solo l’equilibrio personale dell’insegnante riesce, con pazienza e perseveranza, a tenere le fila e a trasmette- re apprendimento. Non è per niente facile, poiché nessuno è stato colto preparato a tale condizione pandemica. scelte e decisioni Per acquistare competen- za a gestire il momento di cambiamento, duramente imposto dalla realtà del vi- rus circolante, non resta che agire e decidere insieme, co- sa che l’amministrazione e la gestione scolastica non è abituata a fare. Sono urgenti cambiamenti e innovazione relazionale, ma ciò non si ot- tiene se non si comunica per stare insieme, fare insieme, progettare insieme e cammi- nare insieme giorno per gior- no. Non è possibile farlo se non si coglie – insieme e con l’ascolto reciproco – la creati- vità di ogni singola persona. Attenzione!, i bambini posso- no offrire soluzioni insperate e sorprendenti. I bambini sono infatti libe- ri. Se rifiutano con sistema- ticità le mascherine, per via dell’insopportabile mettere/ togliere, il motivo c’è. La scuo- la è di per sé ambiente pro- tetto, molto più della strada e della piazza, perfino della famiglia. E quando scappa loro di di- re «perché non facciamo così», indicando la loro soluzione, la soluzione può essere valida. Solo con il loro contributo e la loro creatività ascoltata, possiamo trovare soluzioni e accoglienza circa le decisioni prese. Gigetto De Bortoli Mascherina «Giannino!!, la mascherina sul naso e sulla bocca, non solo sull’orecchio». Glielo grida – quasi – la ma- estra. «Vado solo a prendere il libro di Luca». «Hai perso la mascherina», gridano gli altri bambini, in coro. Lui corre, prende il libro di Luca, di ritorno rac- coglie la mascherina, non la mette e la poggia sul suo banco. «Quante volte devo dirvi che, se vi spostate, dovete mettervi la mascherina?». «Maestra, non lo ho neanche toccato». La maestra non ha più fiato in gola e non sa come introdurre l’uso della mascherina, perché esso diventi un comportamento automatico. Come quello di guardare nello zainetto, riporre le cose e raccattarlo prima di uscire, a scuola finita. Per oggi, richiami e grida. Ahimè, i bambini delle elementari non possono più mettere/smettere la mascherina come un gioco imitativo, fattibile nella materna. Ma pure qui non funziona, non appena si passa al vero gioco. La ma- scherina di fatto impedisce la mobilità della testa e interferisce con la visione, la parlata e la stessa pu- lizia, l’igiene. Come è noto con i primi freddi partono raffreddori, tossi, bronchitelle, nasi chiusi e aperti. La domanda che si pongono gli insegnanti è se l’impe- gno di lottare sulle mascherine in classe e nel plesso scolastico valga lo sforzo come impegno educativo. Gli insegnanti si trovano non solo a lottare con i com- portamenti di bambini e ragazzi (molti dei quali, tra l’altro, sono pazienti e diligenti a porsela) ma con le posizioni controverse che continuano a circolare sui media e sui social. Che i bambini ascoltano e poi rinfacciano. La soluzione, forse, sta nel buon senso, così come non si possono tenere aperte le finestre col freddo e i ra- diatori in funzione, inutile spreco, e fonte di raffred- dori e bronchiti. Le finestre vanno aperte a cadenze precise, quando non ci sono gli allievi in classe o avvertendoli al momento giusto. L’applicazione delle regole non è mai teorica, è concreta e quindi deve tenere conto della condizione reale in cui si applica.

RkJQdWJsaXNoZXIy MTA1MTI=