L'Amico del Popolo digitale
Testatina L’Amico del Popolo 29 ottobre 2020 - N. 43 32 L’Amico del Popolo Cultura filò ...sofando Il caso, sinonimo di bestemmia «Dire caso è dire bestemmia. Niente al mondo è caso». Lui . Allora bestemmiamo spesso. «È avvenuto per caso, l’ho incontrato per caso, sono capitato lì proprio per caso»: quante volte ci esprimiamo così! Lei. Invece in un’opera del filosofo e letterato del Settecento, Gotthold Ephraim Lessing, si trova scritto che «Niente al mondo è caso». Lui. È un’idea interessante, molto vicina a un sen- tire religioso, per cui tutto accade davanti a Dio, per volontà di Dio, col permesso di Dio, e magari porta un «segno», un messaggio di Lui. Lei. È un’idea che può trovare alimento anche nella visione di un mondo-divinità in cui tutto accade ne- cessariamente. Sembra che Lessing sia arrivato a fare sua una visione del genere. Lui. La negazione del caso ci interessa e ci fa pensa- re. Ma sai che cosa si trova scritto, nella stessa opera da cui è tratta la sentenza di cui ci stiamo occupando, di una donna che pensa? Lei. Non mi impressionerai. Noi donne siamo abitua- te a denigrazioni «filosofiche», da Aristotele in qua, e di sicuro anche prima. Lui. Ecco la frase: «Come può un uomo amare un essere che, a dispetto di lui, vuole anche pensare? Una donna che pensa è altrettanto ripugnante quanto un uomo che s’imbelletta». Lei. Applausi. Lo so, le cose andavano così. Nello stesso secolo Rousseau sosteneva che «più che verità astratte, la donna deve studiare il cuore dell’uomo» e che «la donna osserva, e l’uomo ragiona». Ma è più interessante tornare al «caso»: il mondo è frutto del caso, noi siamo figli del caso? Lui. Una certa cultura moderna ci spinge a rispon- dere di sì. Dalla materia al pensiero, casualmente. Però questa prospettiva ferisce il nostro orgoglio, la nostra dignità. Come, figli di nessuno siamo? Siamo una strana, imprevedibile combinazione uscita da for- tuite evoluzioni? Lei. Molti dicono così. Forse qualcuno è disposto ad aggiungere «purtroppo». Lui. In questo caso emerge forse una nostalgia di paternità. Lei. Se non c’è un Padre, siamo orfani. Lui. Ed essere orfani non è una bella cosa. Lei. Ma desiderare di avere un Padre non equivale a dimostrare che esiste un Padre. Lui. Posso però coltivare il desiderio. Anche perché nessuno ha dimostrato che il Padre non c’è. Belluno un progetto interreg italia-austria Dal museo Correr di Venezia 29 spade al Fulcis Una convenzione triennale permetterà di far tornare a casa schiavone, falcioni, spadoni e la targa da scherma Dal museo Correr di Vene- zia al Fulcis di Belluno: 29 spade di fattura bellunese troveranno presto colloca- zione nella splendida cor- nice dello spazio museale del centro città. L’annuncio mercoledì 20 ottobre, du- rante una videoconferenza in cui i partner di «Klang – spade di leoni e aquile» han- no fatto il punto sullo svilup- po del progetto. Un progetto Interreg Italia-Austria V-A che vede protagonista la storia delle spade bellune- si e la volontà di rilanciare, attraverso essa, il turismo culturale. «Le armi bianche dovreb- bero arrivare a settimane», ha precisato Marco Pera- le, assessore alla cultura del Comune di Belluno, «e contiamo che l’allestimen- to possa essere completato per Natale». Dunque, salvo imprevisti e Covid permet- tendo, il nucleo di spade bellunesi potrà essere visi- tabile al Fulcis dall’inizio del prossimo anno. Il tutto grazie a una convezione con il museo Correr di Venezia. «La Fondazione Musei Civici è molto lieta della collabora- zione avviata con Belluno e di aver siglato un protocollo d’intesa con il Comune per il deposito al Fulcis di ar- mi bianche provenienti dal Correr», ha detto il respon- sabile del Museo, Andrea Bellieni. «La rete dei Musei Civici di Venezia è composta da 11 sedi. Al Correr c’è una vasta raccolta di armi bian- che di origine sia patrizia che collezionistica». Un bel nucleo è composto da spade bellunesi. Quelle spade, oggi depositate al Correr, stanno per tornare a casa, a raccon- tare una storia gloriosa che merita di essere valorizzata. «Non dimentichiamo che c’è stato un tempo in cui Beluno era regina incontra- stata nella produzione delle spade» ha ricordato Perale, «che venivano esportate in Europa e non solo. Il risulta- to ottenuto grazie alla con- venzione con il museo Cor- rer – della durata di tre anni rinnovabili – ci permette di riallacciare i fili della me- moria che si era persa, ma è anche una dimostrazione di quanto sia importante fare sistema tra i musei del Ve- neto. Nello stesso tempo, si va a superare la dicotomia tra arti di “serie A” e quelle considerate minori». Al Fulcis, in una sala in corso di allestimento de- dicato al ferro (dove c’era anche la grande cassaforte del Monte di Pietà), arrive- ranno due schiavone (arma bianca manesca del tipo spa- da diffusa durante il Rina- scimento dalle truppe degli Schiavoni, i mercenari slavi della Dalmazia al servizio della Repubblica di Venezia) e una schiavonesca (spada rinascimentale veneziana a lama larga da cavalleria), oltre alla partigiana, che Alcune delle spade in arrivo a Belluno. presenta fatture simili a quelle presenti sulle armi utilizzate da Enrico VIII e conservate nella Torre di Londra. Saranno poi in esposizione i falcioni, a lama monofilare, di norma molto ampia, e gli spadoni, che si chiamano così proprio per- ché sono alti ben 1 metro e 75 centimetri. Di rilievo anche la targa da scherma. «Oggetti che raccontano la storia dall’antichità fino all’età moderna», ha aggiun- to Perale. «Immaginando di poter acquisire il quarto lot- to di Palazzo Fulcis, questo primo nucleo potrà essere valorizzato ancor di più in futuro. Non dimentichiamo che diversi collezionisti di armi bianche hanno manife- stato il loro interesse a fare delle donazioni al Fulcis». Ma questa non è l’unica novità nell’ambito di «Klang – spade di leoni e aquile», che vede al lavoro assieme Cir- colo cultura e stampa bellu- nese, il Comune di Belluno (che è l’ente coordinatore di tutto il progetto), il Comune di Santa Giustina, il Comu- ne di Maniago (in Friuli) e l’Università di Innsbruck, in Austria. «Nei primi mesi del 2021 pubblicheremo la guida turistica che censirà i luoghi più importanti legati alla produzione, ma anche alla commercializzazione delle spade e delle lame», ha evidenziato Ilaria Marcolin. «Quindi le miniere (del Fur- sil, a Colle Santa Lucia, ma anche in Tirolo), quello che rimane degli opifici fabbrili, musei e collezioni. La guida sarà tradotta in italiano, tedesco e inglese. Un itine- rario culturale, storico e tu- ristico, che permetterà a chi vorrà di percorrere questa sorta di strada che collega l’Austria, attraverso la no- stra provincia, a Maniago». Grazie al coordinamento del Circolo cultura e stampa, si sta anche organizzando un grande evento internazio- nale che dovrebbe portare a Belluno i massimi esperti del settore. Martina Reolon belluno Quell’angolo della Schiara sconosciuto a Buzzati La seminascosta piramide di roccia del Burel e i suoi precipizi impossibili Quante volte Dino Buzzati grande scrittore, giornalista di fama, pittore affermato, persino buon alpinista, si è dilettato nello scrivere del- la Schiara o comunque dello Schiara come lui amava de- finirlo? Tante davvero. Le sue urla non gridate nonostante venissero spesso inserite nelle righe del gior- nale più diffuso d’Italia, non erano altro che sussurri. Quasi si vergognava il no- stro Dino a nutrire questo grande amore. La Schiara pur con qualche disagio ri- maneva comunque la mon- tagna della sua vita. Allora la montagna veniva vista con l’occhio esclusivo dell’al- pinista. La grande parete rappresentava il massimo dell’interesse. Agner, Civetta, Marmola- da, si diceva possedessero ai suoi tempi le più belle. Dino Buzzati ignorava forse l’esi- stenza del Burel, di quella grandiosa piramide di roc- cia che gareggia con tutte le Dolomiti e le supera con il suo abisso ad eccezione di quello dell’Agner. Lo avesse conosciuto, Dino ci avrebbe lasciato certamente delle descrizioni indimenticabili. Egli amava la spettacola- rità, ma anche quel senso di selvaggio che aveva co- munque scoperto in luoghi vicini a Belluno. Associare il selvaggio della Val de Piero ai precipizi impossibili, im- probabili del Burel, sarebbe stato tutt’uno. Ma i tempi cambiano. Cambia anche la visione della montagna, il concet- to di bellezza che essa ci offre. Così come nell’archi- tettura, nella pittura, nella scultura, così nella musica, il gusto, il piacere non sono mai eguali. Ed oggi la for- ma prende spesso il soprav- vento. E la Schiara nel suo disegno così variegato che si può contemplare dalla Val- le dell’Ardo, dal Zimon del Terne, dal Serva, trova una propria giusta rivalutazio- ne. La Schiara va oltre il suo colore, il suo esistere come dolomite vera ed autentica e sposa degli attributi che solo 50-60 anni fa erano impen- sabili, divenendo montagna regina, equivalente ad un novello Olimpo. A questo proposito ci sovviene di una proposta assurda, poco conosciuta, ma che al tempo venne for- mulata ma fortunatamen- te non ebbe seguito. Negli anni Cinquanta e Sessanta il punto forte della Schiara era concentrato intorno alla Gusela. E la Gusela, diami- ne, anche in tempi di poca considerazione della mon- tagna che la ospitava, non poteva essere discussa. Quel gingillo rivolto verso il cie- lo che comunque dominava tutta la Val Belluna dai suoi 2365 m, aggrappato alle sue pareti meridionali che guar- dano Belluno. Quel gingillo perbacco, quella sentinella silenziosa, discreta, avreb- be potuto essere raggiunto da una funivia. Torme di visitatori avrebbero potuto salire sin lassù. Noi non sappiamo dove sarebbe arrivata la funivia, dove si sarebbe ancorata. A quel qualcuno non era ve- nuto in mente la fragilità di quell’ago sospeso sull’abis- so, un problema che sarebbe emerso in tempi più recenti. Per fortuna non se n’è fat- to niente. E la Schiara con la sua fragile Gusela, con le sue Pale del Balcon, con il suo seminascosto Burel, può continuare ad esistere libera nel nostro orizzonte, nella sua lontana, romanti- ca solitudine, bella nei suoi tanti attributi, che la realiz- zazione di rifugi, bivacchi, ferrate, non ha per ora an- cora intaccato. G.D.M. l’intervista il friuli e g.b.pellegrini Federico Vicario, docente di Linguistica generale all’Università di Udine e presidente della Società filologica friulana, spiega quanto il Friuli sia debitore del glot- tologo bellunese Giovan Battista Pellegrini, di cui l’anno pros- simo ricorrerà il centenario della nascita. La Filologica da anni cura i rapporti e valorizza la parentela – storica e linguistica – con i territori contermini, in particolare il Cadore. L’antico istituto, riconosciuto dallo Stato, è punto di riferimento per le politiche linguistiche del Friuli Venezia Giulia e celebra in que- sti giorni, nonostante la pandemia, la ricchissima Settimana della Cultura Friulana ( www.setemane.it ). Conduce Luigi Gu- glielmi ( inquadra il codice Qr per vedere tutta l’intervista). Il Burel. (Foto Adriano Bee)
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