L'Amico del Popolo digitale
4 L’Amico del Popolo 29 ottobre 2020 - N. 43 In provincia e nel mondo Una videoconferenza organizzata da Cgil-Spi-Fp ha fatto il punto della situazione Sanità e sociale, criticità acuite dal Covid La crisi sanitaria attuale dovrà imporre un ripensamento dell’intero sistema Negli ospedali pesano la carenza di specialisti, poco “attratti” dal difficile conte- sto montano della provincia di Belluno, e la riduzione dei posti letto. Ma c’è anche tutta la rete dei servizi sul territo- rio – dall’assistenza domici- liare integrata alle strutture intermedie, passando per le case di riposo – che non se la passa troppo bene. Tutte cri- ticità che il Bellunese conosce bene, purtroppo, e che sono state acuite dall’emergenza Covid-19. «Questa grande cri- si imporrà un ripensamento complessivo del sistema. Sono stati messi in evidenza pun- ti deboli, con problematiche fino a gennaio di quest’anno nemmeno ipotizzabili», ha detto il direttore generale dell’Ulss 1 Dolomiti, Adriano Rasi Caldogno, durante la vi- deoconferenza organizzata da Cgil-Spi-Fp. Videoconferenza dal titolo «Sanità contempo- ranea – Ricerca Ires e l’allar- me Covid», partita con una domanda che è sulla bocca di tanti: «La sanità è preparata a rispondere alla nuova onda- ta del contagio da Covid-19?». L’elemento centrale del di- battito sono stati i dati della ricerca che Ires Veneto (ente di ricerca della Cgil Veneto) ha raccolto sullo stato di at- tuazione del Piano socio-sani- tario regionale, in particolare sullo stato di integrazione dei servizi, tra ospedale e territo- rio, fondamentali per garan- tire l’assistenza continuativa ai malati, la cura delle cro- nicità (purtroppo presenti in modo elevato) e l’azione di prevenzione. «Con lo studio ci chiediamo quali aspetti della pianificazione vadano rivisti, soprattutto alla luce dell’emergenza che stiamo vi- vendo», ha evidenziato Barba- ra Bonvento, ricercatrice Ires Veneto, facendo presente che l’emergenza Covid ha eviden- ziato che il Sistema sanitario nazionale non può seguire il modello “ospedalocentrico” ed è indispensabile migliorare l’assistenza territoriale. «In emergenza, il model- lo socio-sanitario veneto ha mostrato i suoi punti di for- za, come il potenziamento dei Dipartimenti di prevenzione e una gestione fondata sul distretto socio-sanitario», ha detto ancora Bonvento. «Purtroppo, però, ci sono an- cora parecchie cose che non funzionano. Per esempio, si rischia di rimanere nel let- to d’ospedale più del dovuto per la mancanza di posti, o di capacità di cura, in altre strutture». «La lunghezza della degen- za media in Veneto (7,85 gior- ni), e anche negli ex distretti di Belluno (8,29) e Feltre (7,27), è superiore alla media Italiana (7 giorni)», ha fatto presente Mauro De Carli, se- gretario provinciale della Cgil Belluno. «Ciò è significativo di una difficoltà per la ge- stione successiva del malato dimesso». Ad accentuare le criticità c’è il fatto che il paziente anzia- no, in provincia, rappresenta il 26,8% della popolazione. «Alcune stime attestano che il 7,68% degli anziani (circa 4.168 persone) nell’Ulss 1 Dolomiti si trova in situazio- ni di non autosufficienza», ha precisato Bonvento, «e che il numero delle persone disabi- li è circa 7.770. Nel territorio bellunese l’indice di vecchia- ia è il secondo più elevato a livello regionale; per quanto riguarda l’indice di dipenden- za, il Bellunese è tristemente al primo posto». Sul fronte delle cure prima- rie, lo studio evidenzia che nel 2011 per ogni medico di me- dicina generale c’erano 1.248 assistiti, mentre nel 2018 si è saliti a 1.334 (+7%). Ogni pe- diatra ha in carico mediamen- te 771 bambini. Se nel 2017 le zone carenti erano 17, nel 2020 sono passate a 27. Gli in- carichi vacanti per la medici- na di continuità assistenziale sono passati da 32 a 41. L’assistenza domiciliare integrata (Adi) presenta in Veneto interventi di maggio- re complessità rispetto ad al- tre realtà regionali. Dal 2017 al 2018 il numero di utenti trattati in Adi è aumentato nel Bellunese del 6,07% ed è diminuito nel Feltrino del 3% (qui, però, sono aumentati del 9,3% gli accessi). Rispetto alle altre Ulss del Veneto, la per- centuale di pazienti trattati con alti livelli di intensità as- sistenziale, dato che qualifica la dimensione del bisogno, è molto superiore: 7,89% in provincia rispetto al 2,54% del Veneto. «Dal 2013 al 2019 si sono persi 113 posti letto», ha con- tinuato Bonvento. «Il fatto più eclatante è l’azzeramento dei posti in lungo-degenza, recuperati nella parte riabi- litativa. Nelle strutture inter- medie, il realizzato è inferiore al programmato. E poi ci so- no le Rsa, per cui i problemi principali stanno nei posti letto e nelle impegnative di residenzialità. Lo studio Ires mostra che il paziente ricove- rato nell’Ulss 1 ha un grado di complessità maggiore rispet- to ad altre Ulss del Veneto: la percentuale di pazienti a cui sono stati erogati trattamenti intensivi è infatti del 12,41%, contro il 3,59% regionale. Ma il numero di impegnative ero- gate per la media intensità è 48 contro 116 posti letto nel distretto di Belluno e 24 con- tro 66 posti letto in quello di Feltre». «Bisogna precisare quali so- no i vincoli per cui ci troviamo in questa situazione che pre- senta diversi punti deboli», ha sottolineato Rasi. «Dobbiamo partire dal decreto ministe- riale 70 del 2015, che ha intro- dotto parametri obiettivi che valgono a 360 gradi in tutta Italia, con dei piccoli corret- tivi per quanto riguarda le zone disagiate, come la pro- vincia di Belluno. Il decreto 70 è figlio di una situazione iniziata nel 2012, anno in cui le risorse da destinare alla sanità hanno iniziato ad essere bloccate. Uno stato di cose metabolizzato in questi anni, ma la gestione dell’e- mergenza Covid ha messo in grande rilievo gli elementi di debolezza del nostro sistema, che conta un numero di anzia- ni considerevole e un carico assistenziale di tutto rilievo». Insomma, la crisi impone di rivedere il sistema. «In primis bisogna rendere attrattivo il territorio bellunese per me- dici e personale sanitario», ha proseguito Rasi. «Su que- sto sono state fatte propo- ste, come l’introduzione nei Contratti collettivi nazionali di misure che consentano di incentivare in maniera non simbolica le persone che in- tendono lavorare in contesti di disagio, siano le aree mon- tane o insulari. Resta il fatto che ancora per diversi anni ci troveremo di fronte il proble- ma noto: la carenza di specia- listi. E stiamo cominciando ad avere difficoltà non banali per infermieri e oss e anche per tecnici in alcune discipline». «La preoccupazione ag- giuntiva», ha fatto notare De Carli, «è quella di capire se il livello della prevenzio- ne delle malattie “storiche”, quelle cardiache, dell’appa- rato respiratorio, tumorali, sarà mantenuto con lo stato di intensità perlomeno uguale a quello degli anni precedenti, o se invece l’allarme Covid e l’attenzione che ospedali e ter- ritorio dovranno riservargli comporterà una minore pre- venzione». Sui bisogni specifici del ter- ritorio bellunese ha insistito la segretaria dello Spi Cgil Maria Rita Gentilin, che per il sindacato ha anche la dele- ga a sociale e socio-sanitario. «Manca una struttura legge- ra, intermedia, prossimale al luogo di cura», ha affer- mato. «La medicina del ter- ritorio deve immaginare un percorso più semplice per la riabilitazione. Gli ospedali di comunità non hanno ancora i posti necessari e, in questo periodo, si sono trasformati in luoghi per pazienti Covid, impedendo il trasferimento dall’ospedale al territorio. Si aggiunge il fatto che le Usca (Unità speciali di continuità assistenziale) non sono ancora attive in tutta la provincia». E le Rsa? «Il degente nel- le Rsa non è più quello di vent’anni fa», ha fatto presen- te Gianluigi Della Giacoma, segretario generale Fp Cgil Belluno. «Ecco perché le strut- ture devono fare un salto di qualità, essere integrate nel sistema sanitario, per la presa in carico reale delle esigenze dei cittadini, perché quel livel- lo di qualità potrebbe permet- tere di superare i gap durante la pandemia. La sfida che noi lanciamo è quella di riuscire a capire realmente come poter vedere un modello di sviluppo del servizio integrato in quello sanitario». Paolo Perenzin, sindaco di Feltre, ha messo in risalto alcuni aspetti. «Se da una parte si va verso l’infermie- re del territorio, dall’altra c’è tutta la drammaticità del personale che viene tolto dalle case di riposo», ha sottoline- ato. «Se oggi riuscissimo ad adeguare i percorsi formativi ai fabbisogni territoriali, gli effetti positivi potremo ve- derli tra qualche anno. E nel frattempo cosa facciamo? Da un lato dobbiamo lavorare subito sfruttando l’emergen- za Covid e le criticità emer- se per riprogrammare i po- sti e i fabbisogni; dall’altro, dobbiamo capire cosa si può fare nell’immediato. Come enti locali quando pensia- mo a potenziare la sanità territoriale puntiamo sugli ospedali, dimenticando che l’aspetto più impegnativo è il versante della cronicità. Altra faccia della medaglia: bisognerà fare una battaglia politica seria affinché venga implementato il fondo della non autosufficienza a livello regionale. Necessario anche ripensare la rete di assistenza agli anziani». Martina Reolon Case di riposo in difficoltà per mancanza di personale Case di riposo della provincia di Belluno in grave dif- ficoltà per mancanza di personale. La segnalazione arriva dalla Cisl Fp Belluno Treviso. «Gli istituti - spiega Mario De Boni, segretario della Federazione del pubblico impiego della Cisl territoriale - sono in grave sofferenza, perché oltre alla carenza strutturale di personale, con tantissimi operatori e infermieri che nel corso degli ultimi anni sono andati a lavorare alla Ulss, attratti da un contratto migliore, in questi giorni ci sono anche tanti lavoratori risultati positivi al Covid, dunque a casa. Basti pensare ai casi di Cortina e di Ponte nelle Alpi, con più della metà degli operatori contagiati». Secondo le stime della Cisl Fp, nell’attuale stato emer- genziale sono oltre un centinaio gli operatori socio- sanitari e gli infermieri mancanti per garantire il ne- cessario servizio di assistenza nelle 31 case di riposo della provincia di Belluno. Nei prossimi due anni, la necessità - fra case di riposo e ospedali - sarà di 350 Oss in più rispetto ad oggi e di 200 infermieri, consi- derando anche lo sviluppo della medicina territoriale. «Si stanno mettendo in campo collaborazioni fra strut- ture - spiega De Boni - e la stessa Ulss sta cercando di supportare le case di riposo, ma ricordiamo che an- che gli ospedali sono in seria difficoltà, perché devono garantire l’assistenza ai malati di Covid, il sostegno alle case di riposo e il mantenimento dell’attività non procrastinabile». La richiesta della Cisl Fp è chiara: «Serve una regia unica della Regione che si deve fare carico del proble- ma, trovando delle nuove modalità per l’assunzione di infermieri e Oss destinati alle case di riposo, con un contratto dignitoso, paragonabile a quello nazionale della Sanità. Si potrebbe ipotizzare anche l’assunzione diretta da parte della stessa Ulss del personale da destinare a queste strutture». Camera di commercio Nuovo Dpcm colpo di grazia per imprese già provate «La decisione di chiudere alle 18 i ristoranti e i bar è il colpo di grazia definitivo a un settore che era già stato messo duramente alla prova dal primo lockdown, ma aveva saputo reagire con dignità e coraggio. Il Go- verno dovrà assumersi la responsabilità di una scelta che porterà alla chiusura di attività storiche, facendo rimanere senza lavoro moltissime persone». Per Mario Pozza, presidente della Camera di commercio Bellu- no-Treviso e di Unioncamere Veneto, la situazione è disperata. E il Dpcm del 24 ottobre provocherà l’abbas- samento definitivo delle serrande per molte attività. «A febbraio/marzo avremo un quadro più chiaro della situazione e capiremo quali imprese ce l’avranno fatta e quali no», ha precisato Pozza. «Di nuove imprese ab- biamo già visto un calo e nel secondo mese del prossimo anno ci sarà il dato definitivo. In questo momento è in piedi tutta una serie di provvedimenti che fa sì che le aziende continuino a essere registrate. Per esempio, per poter usufruire della cassa integrazione. Ma tra pochi mesi la situazione si mostrerà in tutta la sua drammaticità». Confartigianato Ora diventa prioritario salvare le festività natalizie «Non riesco a capire la logica secondo la quale la gran- de distribuzione è legittimata a proseguire nella sua attività, anche oltre le 18, e noi no. Se non in termini di asporto. È scorretto nei confronti delle realtà ar- tigiane». Lo sottolinea Cristiano Gaggion, a capo dei produttori dolciari di Confartigianato Belluno, che riconosce che il Governo ha garantito ristori economici dei quali però - dice - «non abbiamo alcuna certezza». Salvare le festività natalizie per Gaggion diventa ora prioritario: «Ci avviciniamo a un periodo estremamen- te importante per il fatturato. Già siamo stati costretti a chiudere a Pasqua, non vorremmo che la storia si ripetesse pure a Natale. Anche perché diverse aziende sono in sofferenza, tra mutui e decine di dipendenti a carico. Auspico arrivi presto un segnale chiaro in termini di supporto». Sulla stessa linea il presidente di mestiere per gli Ali- mentari, Antonio De Fina: «Mi sono confrontato con diversi colleghi e qualcuno ha già preso la decisione di chiudere. Non ci sono le condizioni per andare avanti: l’emergenza della prima chiusura, in qualche maniera, è stata assorbita, questa no. È la mazzata finale». De Fina cita l’esempio della sua attività: «Dalla mattina alle 17, lavoriamo per coprire i costi. È la parte finale della giornata quella che porta ad avere un minimo di guadagno». Confagricoltura Batosta per tutta la filiera agroalimentare «La chiusura alle 18 per la ristorazione è un ulteriore batosta che rischia di avere ripercussioni pesanti su tutta la filiera agroalimentare». Così Diego Donazzolo, presidente di Confagricoltura Belluno, commenta il nuovo Dpcm, che sta suscitando molta apprensione anche negli agricoltori di montagna. «I nostri timori sono legati soprattutto a chi lavora con il canale Hore- ca», spiega Donazzolo. «Il primo lockdown aveva visto un crollo dei consumi del vino causato dalla chiusura di alberghi, ristoranti, agriturismi, bar, enoteche e dalla perdita di una parte consistente delle vendite dirette in cantina. Ora che il settore stava riprendendo lentamente fiato abbiamo paura che per la botta possa mettere in ginocchio parecchie aziende». «Penso anche agli agriturismi, che si sono visti can- cellare già dallo scorso Dpcm banchetti matrimoniali, battesimi e feste di laurea», prosegue. «Ricordiamo che questa è un’attività complementare che spesso aiuta le aziende agricole a stare in piedi ed è quindi necessario che non ci siano ulteriori restrizioni e che quelle adot- tate durino per il minor tempo possibile. Chiediamo inoltre che i ristori annunciati dal Governo siano estesi alle aziende agrituristiche, che ne hanno necessità per continuare l’attività. Ma tutta la filiera agroali- mentare avrà bisogno di aiuto, a cominciare dal latte, che sta subendo grosse speculazioni con quotazioni in ribasso. Anche il settore ortofrutticolo va rilanciato con opportune iniziative nazionali e comunitarie, perché l’annata è stata durissima a causa del Covid e delle fitopatie che hanno toccato parecchie produzioni».
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