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acqua Su 100 litri ne perdiamo 70 A pagina 4 montagna Il «sì» del Senato alla legge-quadro A pagina 2 il patrono San Martino arrivò a Belluno A pagina 7 sport Volley, vincono tutte le squadre A pagina 37 Anno CXVI - N. 44 - 7 novembre 2024 redazione@amicodelpopolo.it www.amicodelpopolo.it lamicodelpopolo1909 0437 940641 339 2743205 lamicodelpopolo amicodelpopolo.it Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/203 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1 comma 1, CSS BL - Tassa pagata/Taxe perçue - Giornale locale ROC Una copia € 1,40 ISSN 2499-0744 Contiene I.P. Nata e residente in Alpago, 29 anni, Martina Fagherazzi, sposata, due lauree, una in Tecnica della riabilitazione psichiatrica una in Scienze religiose, lavora tra Belluno e Pieve di Cadore. Segue da tempo i bambini con disturbi dello Spettro dell’autismo. Quello di Martina è il primo dei ritratti che proporremo all’interno di una nuova rubrica intitolata «Storie di chi resta». Uno spazio tutto dedicato al racconto di bellunesi che hanno scelto la montagna come luogo dove coltivare gli affetti e lavorare. Nonostante tutto. A pagina 29 Martina Fagherazzi. Il primo ritratto della nuova rubrica La «lezione» di Martina Segue i bambini con autismo Addio a Mario De Bon sindaco di Sospirolo Aveva 55 anni È mancato nella notte tra lunedì 4 e martedì 5 novembre il sindaco di Sospirolo, Mario De Bon. Cinquantacinque anni, era malato da tempo. La notizia della sua scomparsa si è diffusa rapidamente anche sui social: molti i messaggi di cordoglio, da parte di amministratori e non. Sindaco di Sospirolo dal 2013, nel 2022 era stato eletto per il suo terzo mandato. Fino allo scorso agosto sedeva anche tra i banchi del consiglio provinciale. Era stato pure primo presidente dell’Unione Montana Valbelluna. Ingegnere e insegnante, De Bon è ricordato come persona schietta, sincera, combattiva, appassionata del territorio. «Un sindaco con la “s” maiuscola, un uomo animato da un profondo senso di giustizia e da una smisurata passione per il suo territorio», ha detto il presidente della Provincia di Belluno Roberto Padrin. «Avevamo posizioni a volte distanti, ma con Mario era sempre un piacere confrontarsi», il ricordo dell’assessore regionale Gianpaolo Bottacin. A pagina 16 belluno valbelluna San Martino Ecco gli eventi A pagina 13 feltre feltrino Una canalina di epoca romana A pagina 18 ampezzo cadore comelico Giochi giovanili Cortina si candida A pagina 22 agordino All’estero gratis 28 in partenza A pagina 25 longarone zoldo Strada «Sot Crode» monitorata speciale A pagina 28 alpago «Alpago e il pallone» di Aldo Collazuol A pagina 29 GIORNALE FONDATO NEL 1909 Da 115 anni il tuo amico L’editoriale il SinoDo italiano «UNA prima VOLTA» «Una prima volta»: questa espressione si addice all’appuntamento a cui le 226 diocesi d’Italia parteciperanno nel prossimo fine-settimana, da venerdì 15 a domenica 17 novembre, presso la basilica di San Paolo a Roma. Sarà un’assemblea formata da circa un migliaio di rappresentanti diocesani. Tra loro i vescovi. Fin dagli anni Settanta la Chiesa italiana, con scadenza decennale, si è radunata a convegno attorno a una tematica al fine di orientare e arricchire il suo vissuto pastorale. L’ultimo di tali eventi si è tenuto a Firenze nel novembre del 2015 con la partecipazione di papa Francesco, che sollecitò tutte le nostre comunità a una più vivace e originale presenza nel Paese. Ci affidava la sua esortazione La gioia del Vangelo per approfondirla e attuarla insieme. In quella consegna vi era in germe l’invito ad attivare un processo di rinnovamento della vita ecclesiale. Sembrava che il Papa suggerisse anche di convocare un Sinodo “italiano”. In seno alla Conferenza dei vescovi italiani si aprì un confronto, non privo di qualche esitazione e riserva. Contemporaneamente prendeva avvio il Sinodo dei Vescovi, indetto da papa Francesco, con la consultazione del Popolo di Dio in tutto il mondo. Il metodo di raccontarsi e ascoltarsi in piccoli gruppi ha risvegliato nella Chiesa una vitalità nuova. Si è acceso un fuoco di partecipazione e di coinvolgimento in tutte le componenti ecclesiali e sono ritornate a circolare parole evangeliche andate in oblio: ascolto, accoglienza, prossimità, corresponsabilità, conversione, rinnovamento. In tale contesto si è sviluppato - a partire dal 2021 - il percorso particolare che ha interessato le comunità ecclesiali presenti nel nostro territorio italiano. Lo si è chiamato «Cammino sinodale delle Chiese in Italia» e ha comportato dei passaggi assai impegnativi di ascolto, di approfondimento, di visione profetica. Siamo oggi alla vigilia di una tappa decisiva, appunto la prossima assemblea sinodale. Si giunge a essa consapevoli di un orizzonte che indica la finalità missionaria di ogni comunità ecclesiale e, dunque, di tutti i battezzati, uomini e donne. In questo tempo e nel camminare insieme si è re-imparato lo stile evangelico della prossimità. È maturata, di conseguenza, la richiesta di un rinnovamento ecclesiale che investe e impegna a dimensione comunitaria, personale e strutturale. Si tratta dei tre fronti aperti che nell’assemblea saranno rielaborati per diventare attuabili nel vissuto ecclesiale di questo nostro Paese. A riguardo possiamo chiederci: la nostra Diocesi di Belluno-Feltre come ne è coinvolta, quale sarà il suo contributo e che cosa si attende? Siamo Chiesa di montagna con caratteristiche culturali singolari e ricche di vicende locali. In corrispondenza al dinamismo e alle iniziative mondiali e nazionali, abbiamo compiuto dei passi significativi. Abbiamo innanzitutto cercato di sviluppare rapporti di collaborazione tra le 158 comunità parrocchiali. Le abbiamo immaginate come “comunità sorelle”. Abbiamo compiuto un esercizio di conoscenza vicendevole e di condivisione delle risorse. Ci stiamo sollecitando nel «portare insieme i pesi gli uni degli altri». E, soprattutto, nutriamo un sogno che sempre più ci sfida e ci impegna: riavvicinarci - nella nostra piccolezza - al Vangelo, condividerlo di nuovo, donarlo ancora. * Vescovo di Belluno-Feltre di Renato Marangoni * PERAROLO DI CADORE - L’incidente mortale di lunedì 4. Ponte Cadore, un altro incidente mortale Quella strada dev’essere resa sicura Il sindaco Svaluto vuole l’autovelox Il dolore e la rabbia: al ponte Cadore un altro incidente mortale, lunedì 4 novembre ha perso la vita Donatella De Col di Belluno, aveva 59 anni. «Tragedia annunciata» commenta il sindaco di Perarolo di Cadore «e ne accadranno ancora». Il dolore, la rabbia ma anche la ferma volontà di mettere fine a questa strage. Pier Luigi Svaluto Ferro si rivolge all’Anas: «Lì non possono considerare la Statale 51 di Alemagna una strada a scorrimento veloce: attraversa un abitato». E ancora: «Non vogliono ripristinare la doppia corsia in salita perché sostengono che quello è l’unico tratto, fino a Longarone, in cui si può sorpassare scendendo da Cortina. Corrono, è in discesa, c’è la curva, poi la strada si restringe, c’è l’imbocco della galleria di Col di Caralte, ci sono auto che arrivano in sorpasso fino all’ingresso nel tunnel. Bisogna evitare tutto ciò, anche se i tempi di percorrenza si allungassero». Svaluto ce l’ha anche con il ministro «che ha strizzato l’occhio a Fleximan» (il tizio che abbatte gli autovelox col flessibile) e «che cavalca il populismo con l’argomento che i sindaci vogliono fare cassa. Salvini, sì, Salvini. Ma quale cassa? Lì un autovelox è necessario e urgente». Il bello è che la Prefettura lo ha già autorizzato, Perarolo già ne paga il canone, all’incontro col prefetto era presente anche Pieve di Cadore con l’allora sindaco Bepi Casagrande, «mi auguro se ne faccia un altro, il prefetto è con noi. Ma bisogna cambiare la legge, perché adesso è confusa e penalizza noi sindaci. E intanto l’autovelox non c’è». storie di chi resta

2 L’Amico del Popolo 7 NOVEMBRE 2024 - N. 44 Dolomiti Bellunesi Ed. L’Amico del Popolo Srl Direzione, Redazione e Amministrazione 32100 Belluno, Piazza Piloni 11 Direttore responsabile: Alberto Laggia Tel. 0437 940641 Fax 0437 940661 redazione@amicodelpopolo.it WhatsApp 339 2743205 Sito Internet: www.amicodelpopolo.it Abbonamento: annuale € 60,00; biennale: € 110,00; sostenitore € 75,00; benemerito € 85,00; semestrale € 35,00 digitale € 30,00 segreteria@amicodelpopolo.it Pubblicità: Piazza Piloni, 11 - Belluno Tel. 0437 940641 pubblicita@amicodelpopolo.it Tariffe: Avvisi commerciali € 25,00 a modulo; Avvisi legali a preventivo Necrologi da € 40,00 C.c. postale 11622321 IBAN: IT29G0200811910000003779087 Iscrizione Tribunale Belluno n. 2 del 10/12/1948 e al nr. 986 R.O.C Stampa Centro Servizi Editoriali srl, Grisignano di Zocco (Vi) Sped. abb. post. D.L. 353/2003 - (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1 comma 1, CNS BL Periodicità settimanale L’Amico del Popolo percepisce i contributi pubblici all’editoria a norma del DLgs 15.05.2017, n. 70 e, tramite la Fisc (Federazione italiana settimanali cattolici), ha aderito allo IAP (Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria) accettando il Codice di autodisciplina della comunicazione commerciale Ai lettori L’Amico del Popolo srl tratta i dati come previsto dal RE 679/2016, l’informativa completa è disponibile all’indirizzo http://www.amicodelpopolo.it/privacy.html Il Titolare e responsabile del trattamento dei dati raccolti all’atto della sottoscrizione dell’abbonamento, liberamente conferiti, è il legale rappresentante a cui ci si può rivolgere per i diritti previsti dal Re 679/2016. Questi sono raccolti in una banca dati presso gli uffici di piazza Piloni 11 a Belluno (Tel. 0437 940641). 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(Foto Martina Fagherazzi) La geografia delle montagne italiane, dal punto di vista giuridico, è destinata a cambiare. All’entrata in vigore della legge Calderoli, approvata al Senato e ora all’esame della Camera, se non interverranno modifiche e una conseguenza terza lettura a palazzo Madama, scatterà un’articolata procedura che classificherà ex novo i Comuni montani. Entro 90 giorni uscirà il nuovo elenco basato sui criteri «altimetrico e della pendenza» previa intesa in sede di Conferenza unificata. Verosimilmente il numero delle realtà montuose sarà più piccolo rispetto agli attuali 3.524 Comuni “totalmente” montani. In provincia di Belluno oggi tutti i Comuni sono “totalmente” montani, ma la legge-quadro, di per sé, non salvaguarda i Comuni delle Province montane alpine in quanto tali. Da questo elenco, nei successivi 90 giorni, ne sarà enucleato un altro, più ristretto, che fisserà i Comuni «destinatari delle misure di sostegno» previste dalla legge-quadro, con la possibilità anche di più elenchi, graduati alla luce di parametri «geomorfologici e socio-economici» che tengano conto delle finalità della legge. Obiettivo dichiarato: mitigare gli squilibri economici e sociali «rispetto ai territori non montani», garantire a chi risiede in quota «l’effettivo esercizio dei diritti civili e sociali», favorire «il pieno e agevole accesso ai servizi pubblici essenziali, in particolare nei settori della sanità, dell’istruzione, della formazione superiore, della cultura, della connessione e della mobilità». Si tratta - spiega il ministro Calderoli - di «criteri omogenei ed innovativi per la classificazione dei Comuni» che consentiranno un’equa applicazione delle misure previste e delle risorse stanziate con «un meccanismo di monitoraggio delle stesse in vista della loro eventuale rimodulazione in itinere». Sulla volontà di «privilegiare le realtà “effettivamente” montane» ha insistito la relatrice Daisy Pirovano (Lega) mentre forti perplessità sono venute da Enrico Borghi (Italia Viva), già presidente dell’Uncem, organizzazione ora guidata da Marco Bussone, che già in sede di audizioni («L’Amico del Popolo» n. 26) aveva osservato di ritenere «poco opportuna una nuova classificazione». Nel dibattito in aula c’è anche chi ha chiesto carta bianca perché siano le Regioni a circoscrivere la propria montanità. Nella memoria depositata in Commissione la Fondazione “Montagna e Europa” Arnaldo Colleselli aveva precisato i motivi che escludono simile ipotesi, ROMA - La legge è stata approvata dall’aula del Senato, ora passa all’esa Prevede un pacchetto di crediti di imposta per varie categorie Per una montagna abitata «Sì» del Senato alla legge Adesso tocca alla Camera Luca De Carlo ha auspicato un aumento delle risorse il nodo - La classificazione nella legge Ci sono tante montagne Criteri nuovi e ‘‘stretti’’ È un edificio a due piani con un piccolo giardino (la dotazione finanziaria) la nuova, tanto attesa, legge-quadro per «il riconoscimento e la promozione delle zone montane». Il Senato l’ha varata giovedì 31 ottobre con i voti a favore della maggioranza di centrodestra e di Svp, l’astensione del cosiddetto campo largo (Pd, M5S, Avs) e una manciata di voti contrari (Italia Viva): 128 presenti, 77 sì, 5 no e 45 astenuti l’esito cristallizzato sul tabellone elettronico di palazzo Madama. Ora il disegno di legge passa alla Camera, con l’aspettativa da parte di alcuni partiti di un affinamento e quindi di una terza lettura al Senato, anche se al momento l’ipotesi appare improbabile. «Abbiamo accolto tutto quello che era possibile accogliere dati i vincoli di legge e di bilancio» il mantra ripetuto, in aula e fuori, dal ministro Roberto Calderoli, dopo aver condotto in porto il provvedimento: 29 articoli suddivisi in sei capi e, come dicevamo, un edificio a due piani. Al piano terra si colloca l’impegno di scrivere “ex novo” la classificazione dei Comuni montani (oggi sono 3.524 “totalmente” montani e 652 “parzialmente” montani) con più elenchi come spieghiamo a pie’ di pagina. Il secondo piano ospita un pacchetto di crediti di imposta a favore di varie categorie, validi dieci anni, con conseguente riduzione della dotazione annua complessiva di 200 milioni, ridotta a metà importo per quanto riguarda le politiche regionali, essendo l’altra metà assorbita appunto dagli incentivi fiscali. Il Fondo nazionale per lo sviluppo delle montagne, a cui tutto il budget fa capo, è stato istituito dal governo Draghi con la legge pluriennale di bilancio 2022-2024. Con la nuova legge-quadro il Fondo si accresce delle misure fiscali, ma a parità di risorse. Quindi meno fondi per le Regioni (la montagna veneta nel 2023 si era vista assegnare 9,9 milioni su un totale di 202) e sgravi per attrarre o tenere sul territorio persone e imprese. La discussione, prima in commissione poi in aula, relatori i senatori Balboni, FdI e Pirovano, Lega, è stata lunga e molto accesa. La maggioranza e il ministro Calderoli vantano di aver accettato un numero importante di emendamenti a firma delle opposizioni, ma le dichiarazioni finali di voto hanno fatto venire al pettine molti nodi, e non solo sul lato delle risorse, che il bellunese Luca De Carlo (FdI) ha auspicato di vedere incrementate di almeno 100 milioni a partire dal 2026 dopo aver incassato il via libera il suo emendamento sui cantieri forestali «temporanei» ed espresso parecchi dubbi sulla Strategia nazionale per le aree interne avviata dieci anni fa. La novità di fondo sono i crediti d’imposta fino al 2033 e alcuni bonus. Chi sono i beneficiari, a parte la lunga serie di decreti attuativi che dovranno essere adottati una volta rivisitata la geografia delle montagne italiane? Innanzitutto - in nome della sanità e della scuola di montagna - gli operatori sanitari e socio-sanitari nonché il personale scolastico che si trasferiranno in un Comune montano (con un credito di imposta superiore se si tratta di una località nella quale vivono minoranze linguistiche storiche) affittando o ristrutturando con mutuo un immobile ad uso abitativo. Per i dipendenti del Servizio sanitario nazionale, per i medici di medicina generale e i pediatri di libera scelta si prevede inoltre una speciale indennità nel contratto di lavoro. Potranno attingere ai crediti di imposta chi acquisterà o ristrutturerà con mutuo l’abitazione principale in un Comune montano nonché gli imprenditori agricoli e forestali che effettueranno investimenti volti a conseguire benefici per l’ambiente e il clima. Di analoghe agevolazioni potranno fruire le micro e piccole imprese condotte da giovani fino a 41 anni che intraprenderanno una nuova attività in un Comune montano. Ulteriori benefici possono essere ottenuti, per periodi più brevi, dalle imprese che promuovono il lavoro agile nei Comuni montani con l’esonero dei contributi previdenziali a loro carico. Bonus bebè una tantum, infine, per i nati nei Comuni montani con popolazione non superiore ai 5 mila abitanti, che si aggiunge all’assegno unico universale. A fare da cornice una Strategia nazionale per la montagna italiana che, in un’ottica di sinergia e complementarità con altre azioni, punterà a sostenere l’accesso ai servizi essenziali (o di base), «con particolare riguardo» a quelli socio-sanitari e dell’istruzione nonché alle attività commerciali, per favorire il «ripopolamento dei territori». A parte la delega al Governo a «riordinare, integrare e coordinare la normativa vigente in materia di agevolazioni anche di natura fiscale a favore dei Comuni montani, al fine di renderla coerente con la nuova classificazione» degli stessi, il testo del Senato non prevede criteri per la determinazione dei Lep (i Livelli essenziali delle prestazioni) sui monti: il cosiddetto “differenziale montagna”. Né ha recepito altre modifiche, pur sollecitate. È il caso della proposta del senatore Enrico Borghi (Italia Viva), già presidente dell’Uncem, che chiedeva di delegare al Governo la definizione di sistemi di l’impegno di rivedere la classificazione dei Comuni, oggi 3.524 ‘‘totalmente” montani e 652 “parzialmente” montani A fare da cornice una Strategia nazionale per la montagna italiana per favorire il «ripopolamento dei territori»

3 L’Amico del Popolo 7 NOVEMBRE 2024 - N. 44 Dolomiti Bellunesi LA MONTAGNA in numeri. (Elaborazione dell’Amico del Popolo dal «Libro bianco») ame della Camera dei Deputati. Tornerà al Senato in caso di modifiche. remunerazione dei servizi ecosistemici assicurati dai territori montani nel campo della biodiversità, delle risorse idriche, delle produzioni energetiche eccetera. Respinte anche le richieste del senatore Andrea Martella (Pd) di ampliare le agevolazioni fiscali a tutte le micro e piccole imprese recuperando a tale scopo 200 milioni dall’eliminazione dei sussidi dannosi per l’ambiente e di dare vita, sulla falsariga delle Zone economiche speciali (Zes), a Zone economiche montane (Zem) «nei Comuni con alto livello di spopolamento e desertificazione economica e commerciale». Di qui - nelle dichiarazioni di contrarietà o di astensione - il rilievo che si tratta di «una legge velleitaria» o peggio di «un sacco vuoto che non sta in piedi». Di tutt’altro avviso la maggioranza («Su sanità, scuole, giovani, smart working, agricoltura, pascoli, alberi monumentali, tribunali, abbiamo visione» ha rivendicato De Carlo) e l’Svp («È un contributo significativo» secondo il senatore Luigi Spagnolli) soddisfatta, quest’ultima, di aver fatto approvare la possibilità, da parte del ministero dell’Ambiente, di definire «annualmente, su base regionale o delle province autonome, il tasso massimo di abbattimento dei lupi, tale da non pregiudicare il mantenimento in uno stato di conservazione soddisfacente della specie». Dopo palazzo Madama tocca ora alla Camera, a Montecitorio. Maurizio Busatta vale a dire: «La classificazione dei Comuni montani inerisce il nodo della determinazione dei “livelli essenziali” secondo l’art. 117 della Costituzione, per cui si deve escludere una “titolarità” regionale in materia di montanità, non foss’altro per le disparità di trattamento che ne potrebbero scaturire». La legge-quadro stabilisce comunque che i nuovi confini (da aggiornare da triennio in triennio) «non si applicano ai fini delle misure previste nell’ambito della Politica agricola comune (Pac) nonché ai fini dell’esenzione dall’Imu relativa ai terreni agricoli». Deroghe non facili da gestire, aggiungendosi ai due o più elenchi di partenza, che l’Istat dovrà aiutare a formare, altre due fattispecie (la Pac e l’Imu) dove l’altimetro avrà valori diversi o comunque distinti rispetto al quadro di riferimento che si intende disegnare. Quasi che lo spartito su cui dirigere l’orchestra sia modificabile in corso d’opera senza creare disarmonie. Aspetti tutt’altro che marginali, che c’è da augurarsi non sfocino in carte bollate. Lo ha realizzato Unimont, di Milano Ecco il «Libro bianco sulla montagna» Più servizi “essenziali” per chi vive in quota La conoscenza dei territori di montagna - delle loro caratteristiche anche umane, delle loro potenzialità, espresse e nascoste - si arricchisce di un nuovo importante contributo scientifico. È il «Libro bianco sulla montagna» a cura di Unimont, polo di eccellenza dell’Università degli studi di Milano, che si è avvalsa del finanziamento del Fondo nazionale delle montagne. Il corposo volume (oltre 400 pagine) è edito da Rubbettino, sempre più punto di riferimento per le pubblicazioni relative a quello che il ministro Roberto Calderoli, nell’introduzione, definisce «un patrimonio italiano, da tutelare ed esaltare sotto ogni aspetto». Siamo di fronte a una vera e propria enciclopedia sulle montagne, non solo per la mole dell’opera, scandita da grafici, tabelle e illustrazioni, ma per la “visione d’insieme” che se ne può trarre consultando i sei capitoli lungo i quali il «Libro bianco», fresco di stampa, si articola. Parleremo più avanti di quali dovrebbero essere i contenuti di un “libro bianco”. Per cogliere la fitta trama del volume è bene cominciare dall’indice. Sei capitoli, dicevamo. Coordinati dalla professoressa Anna Giorgi, responsabile di Unimont, l’Università della montagna di Edolo (Brescia). Dopo un approfondimento sulle montagne nello scenario globale ed europeo, ecco le montagne italiane: ambiente e risorse, territorio e società, economia e imprese, legislazione e governance. Chiudono il cerchio sfide e proposte di intervento per il futuro. Un ‘‘libro bianco” inteso all’europea deve infatti sviluppare un quadro di strategie su cui orientare le politiche pubbliche e l’apporto degli operatori interessati, ma da questo punto di vista il «Libro bianco della montagna» si ferma, per così dire, in mezzo al guado, lasciando porte aperte. Dal punto di vista metodologico il «Libro bianco» di Unimont circoscrive i territori di montagna al perimetro di quelli così classificati dall’Istat sulla base della loro altimetria. In sostanza si tratta di 2.487 Comuni che rappresentano una delle tante definizioni in cui le montagne italiane si specchiano. La gran parte dei dati viene così analizzata su base regionale. Il punto centrale su cui il «Libro bianco» - al quale hanno contribuito vari autori, anche se poche firme sono venete (Paolo Gurisatti dell’Università di Padova, Silvia Oliva della Fondazione Nord Est e Andrea Ferrazzi di Confindustria per la montagna) - pone l’accento è il capitale umano. Per le zone montane - si rileva - sempre più prioritario è «individuare interventi, formule e politiche capaci soprattutto di trattenere e richiamare i giovani per contrastare il preoccupante squilibrio generazionale esistente» e pertanto riuscire a garantire «adeguati» servizi di base (sanità, assistenza socio-sanitaria, istruzione, mobilità, ecc.) nonché favorire «opportunità di lavoro qualificato» in forza di «politiche integrate» che facciano crescere «comunità ed economie vivaci, creative, sostenibili». Di qui l’agenda pro-futuro. Cinque proposte per il settore pubblico e una per quello privato, a cui si aggiungono suggerimenti sparsi, per esempio in tema di Pac (la Politica agricola comune) e di azioni meritevoli di essere praticate. Per il settore privato si rilancia la sfida della sussidiarietà orizzontale, le cinque politiche pubbliche, che si auspicano, si condensano in altrettante linee guida: strategie «specifiche» per i territori montani, tavolo interistituzionale e osservatorio «permanente e tecnologicamente avanzato», costituzione di «ecosistemi dell’innovazione», sensibilizzazione a tutto campo della società. Poche righe. Nessun approfondimento neanche in tema di “svantaggi” o “sovraccosti” connessi con il vivere e l’operare in quota. Nella parte discorsiva, due raccomandazioni richiamano comunque l’attenzione e la discussione. Il «Libro bianco» avverte che lo sviluppo del turismo della neve è «una partita in perdita» e, citando la Banca d’Italia, suggerisce di «ampliare l’offerta turistica con attività non strettamente connesse alla neve» in conseguenza dei cambiamenti climatici e degli inverni meno rigidi. Nuove opportunità - sottolinea il testo - che «richiedono professionalità, tecnologie, competenze e metodologie adeguate». Con l’obbligo di «preservare» gli ecosistemi montani e «migliorare» la qualità della vita delle comunità locali, il «Libro bianco» – seconda raccomandazione – auspica che il rinnovo delle grandi concessioni idroelettriche «dovrebbe avere come obiettivo quello di modificare radicalmente l’impianto delle relazioni tra territorio e soggetti gestori» e «rifuggire da un sistema improntato alla monetizzazione». Il banco di prova anche nel Bellunese si avvicina… M.B.

4 L’Amico del Popolo 7 novembre 2024 - N. 44 Dolomiti Bellunesi BELLUNO: le posizioni in classifica nei diversi parametri. (Fonte: Ecosistema urbano 2024) «Una cosa è certa: gli indirizzi a Bim Gsp, a Bim Infrastrutture e alla nuova Servizi Integrati Bellunesi, che risulterà dalla fusione delle due società, non vengono dati dai Consigli comunali. Proprio dai Consigli bisognerebbe partire, perché queste società sono delle partecipate, sono delle società in house e quindi scontano il cosiddetto controllo analogo. Vale a dire: i Comuni, che sono gli enti locali proprietari di queste società, in seno ai Consigli comunali dovrebbero elaborare le linee strategiche». E invece, Lucia Olivotto? «Invece avviene esattamente il contrario: le decisioni vengono assunte all’interno delle società, chissà come, chissà dove, e poi tutto viene portato nei Consigli comunali per ratificare». In effetti, ancora non si sa bene che cosa farà questa Sib, operativa dal 1° gennaio. Di sicuro sarà un forziere pieno di soldi, la cassaforte della provincia. Nasce con l’approvazione dei soci (i Comuni bellunesi) ma senza che il suo piano industriale sia stato reso noto. Un «sì» molto sulla fiducia, dunque. Per adesso ci si deve accontentare dei contorni, di quel che traspare dal ‘‘dietro le quinte’’, con un obiettivo aziendale dichiarato: il «consistente risparmio energetico». Che onestamente appare molto vago. Non ne sanno nulla di più i soci, cioè i Comuni, e tantomeno i cittadini. Eppure parliamo di soldi pubblici. Né si può dimenticare che Servizi Integrati Bellunesi è l’erede di quella Bim Gsp, sempre di proprietà dei Comuni, che nel volgere di pochi anni è stata capace di generare un debito monster di oltre 90 milioni di euro nella gestione dell’acqua in provincia di Belluno, arrivando sull’orlo del fallimento, totalmente privata dell’accesso al credito, impossibilitata perfino a eseguire le opere di manutenzione degli acquedotti. Che infatti oggi sono tra i peggiori d’Italia, con una dispersione che sfiora il 70% dell’acqua immessa nella rete. E neanche su questo - sul debito rimasto, sulla dispersione idrica - ai Consigli comunali è stata detta una parola chiara. Olivotto, già vicesindaca e assessora al bilancio del Comune di Belluno, che cosa vi hanno mostrato in Consiglio? «In Commissione ci hanno soltanto mostrato delle slide, soltanto mostrate, non ce le hanno neanche consegnate. Si parla di investimenti nel campo dell’energia, potrebbe anche non essere una cosa negativa: ma torniamo sempre là: che cosa vogliamo fare? Non lo si sa. Quello che invece sicuramente si sa, ed è assolutamente deprimente, è che vogliono costruire la nuova sede di questa nuova società, dicono con un investimento di ben cinque milioni di euro ma a quanto pare costerà almeno il doppio, almeno dieci milioni di euro. Vogliono costruirla a Levego, con nuovo consumo di suolo, quando abbiamo la desolazione dei capannoni abbandonati in via Vittorio Veneto. Ci è stato detto: oggi la società paga l’affitto, che mi pare sia sui duecentomila euro all’anno. Vero, ma se la nuova sede costerà dieci milioni ci vorranno 50 anni per recuperare questi soldi». Bim Gsp come sta, oggi? «La situazione di Bim Gsp è ancora oggi una situazione da monitorare, è una società che ha ancora circa 30 milioni di euro di debiti, che non sono esattamente pochi, è una società che previsionalmente presenta delle posizioni finanziarie nette negative, con erosioni di cassa degli anni 24-25-26 dovute ai rimborsi di finanziamenti in essere e che la società pensa di coprire con ulteriori indebitamenti». Il ‘‘tesoretto’’ da 48 milioni di Bim Infrastrutture, generato dalla cessione delle reti del gas, verrà dunque utilizzato per limare il debito? «Non penso che i soldi della gara del gas possano andare a pagare i debiti di Gsp, mi auguro che questa non sia la soluzione, perché sarebbe una soluzione veramente demenziale. C’è l’annoso tema degli acquedotti, che sono dei colabrodo: questo magari potrebbe essere un investimento da fare, no? Però da quel che abbiamo potuto sapere non sono previsti investimenti sul comparto acqua». Luigi Guglielmi Lucia Olivotto. La nuova classifica Ecosistema Urbano 2024: Belluno scende Acquedotti colabrodo Su 100 litri ne perdiamo 70 Tra i peggiori in Italia Bim Gsp ha investito 25,6 milioni, ma non ‘‘si vedono’’ acqua e servizi - Olivotto: «Non vedo investimenti contro la dispersione idrica» «Dove si decide per Bim Gsp e Bim Infrastrutture? I Consigli comunali chiamati solamente a ratificare» È uno degli indicatori ai quali oggi si dà più peso, perché l’acqua non va sprecata. E da noi ci permettiamo di perderne per strada ben 69,2 litri ogni 100 che vengono immessi negli acquedotti: ne immettiamo cento, al rubinetto ne arrivano trenta. Siamo tra i peggiori in Italia, penultimi tra i 103 comuni che hanno fornito i dati, solo prima di Chieti che ne spreca il 70%. E questo nonostante gli sforzi economici che Bim Gsp sta mettendo in campo. Tanto è disperata la situazione di partenza dopo anni di mancate manutenzioni per cercare di sopravvivere con un debito aziendale che aveva raggiunto i 91 milioni di euro. L’allarme è lanciato dalla nuova classifica stilata da Ecosistema Urbano 2024 che ogni anno cerca di fornire una fotografia dello stato delle città italiane sulle performance ambientali nei capoluoghi di provincia. la DISPERSIONE IDRICA Tra i peggiori in un indicatore in cui la situazione dell’intera Italia è critica. Si tende, infatti, a considerare fisiologica una dispersione idrica inferiore al 10-15% dell’acqua immessa in rete e solo undici capoluoghi su 103 hanno un valore sotto il 15%, il migliore Pavia con il 10,2%. Il valore medio dell’acqua potabile che non arriva ai rubinetti nei capoluoghi analizzati è di 36,3%, praticamente la metà di quanto registra Belluno. Una situazione prevedibile dal momento che le reti idriche italiane sono generalmente vecchie, il 60% delle infrastrutture è stato messo in posa oltre 30 anni fa ed è scarsamente mantenuto. Basti pensare che un foro di tre millimetri di larghezza in una condotta può portare a una perdita fino a 340 litri d’acqua al giorno, ovvero al consumo medio di una famiglia. La risposta è una sola: investimenti ingenti e urgenti. A maggior ragione se consideriamo che il nostro Paese è tra quelli che utilizzano più acqua in Europa: i soli capoluoghi considerati nell’indagine consumano 147 litri per abitante al giorno, 117 a Belluno, mentre la media continentale è di 220 litri. GLI ALTRI INDICATORI Rispetto al 2022 sono più gli indicatori che migliorano, dodici, rispetto a quelli in peggioramento, sette tra cui tasso di motorizzazione, vittime della strada e verde totale, ma, ad esclusione delle criticità evidenziate per la dispersione idrica, tutti con variazioni leggerissime. C’è un indicatore in cui Belluno primeggia: il numero di alberi ogni 100mila abitanti in area pubblica, ben 200. Un miglioramento di 96 posizioni rispetto all’anno scorso, in cui, però non erano stati forniti i dati relativi. Il nostro capoluogo è tra i primi dieci posti in graduatoria anche in altre due categorie in cui storicamente ben figuriamo: la raccolta differenziata e i rifiuti prodotti in cui siamo rispettivamente in quarta e sesta posizione a livello nazionale. Belluno, poi, guadagna posizioni per quanto riguarda il trasporto pubblico, sia a livello di passeggeri sia, seppur leggermente, a livello di offerta. Siamo a circa metà classifica, invece, e con valori sostanzialmente invariati rispetto al 2022, per quanto riguarda l’estensione della superficie stradale pedonalizzata e i metri di piste ciclabili PEGGIO DEL 2022 Da decimi a diciannovesimi: perdiamo ben nove posti rispetto alla stessa classifica relativa all’anno scorso, quindi costruita su dati del 2022. Ma c’era da aspettarselo se consideriamo che è stato deciso di ridurre il peso di alcuni indicatori, come la percentuale di raccolta differenziata, su cui come noi da sempre ben figuriamo, in quanto non rappresenta più come un tempo un elemento innovativo nella gestione ambientale, e di aumentarne altri, come la dispersione della rete idrica. SITUAZIONE del VENETO La migliore città per vivibilità ambientale urbana del Veneto è Treviso che sale al sesto posto nella classifica generale guidata da Reggio-Emilia. Belluno resta la seconda città in regione. Venezia (39), Padova (42) e Vicenza (51), invece, faticano a tenere il passo e Rovigo (76) e Verona (78) chiudono la classifica regionale. Irene Dal Mas Il valore medio dell’acqua potabile che non arriva ai rubinetti nei capoluoghi è di 36,3%, praticamente la metà di belluno C’è un indicatore in cui Belluno primeggia: il numero di alberi ogni 100mila abitanti in area pubblica, ben 200 «La situazione di Bim Gsp è ancora oggi una situazione da monitorare, la società ha ancora circa 30 milioni di euro di debiti» Un intervento di Bim Gsp sulla disastrata rete degli acquedotti.

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6 L’Amico del Popolo 7 novembre 2024 - N. 44 L’Amico del Popolo Chiesa locale 32a domenica del tempo ordinario La parola della settimana La vedova ha gettato nel tesoro più di tutti; «nella sua miseria ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere» (cf. Mc 12,43-44) Il tesoro del Tempio di Gerusalemme era davvero una bella intuizione, almeno nelle sue intenzioni. Le offerte che vi venivano «gettate» erano utilizzate principalmente per due scopi: quello di mantenere la struttura del tempio e l’aiuto nei confronti delle persone indigenti. Le categorie maggiormente colpite dalla povertà erano quelle dove il capofamiglia, spesso unico lavoratore, era venuto a mancare: parliamo delle vedove e degli orfani. Così come si trattava di una nobile istituzione, altrettanto si deve dire che si assisteva a fenomeni di corruzione: la cassa era gestita in maniera arbitraria e gerarchica dalla classe sacerdotale, nella quale molti puntavano agli interessi della classe stessa, se non addirittura a quelli personali. Non era infrequente, infatti, che alla morte del coniuge, la vedova venisse visitata dai meno scrupolosi tra i farisei e i funzionari del Tempio, i quali le assicuravano che l’avrebbero difesa in ogni ambito della vita sociale, politica e giudiziaria a condizione che essa e i suoi figli avessero lasciato a loro amministrare il patrimonio rimasto a disposizione come lascito del defunto marito. E Gesù non usa mezzi termini, quando parla di questi come gente che «divora le case delle vedove»: lasciavano alle vedove il necessario per il sostentamento quotidiano, e a poco a poco si appropriavano di tutto il resto in cambio di presunti appoggi e favori che spesso non arrivavano. Il fabbisogno quotidiano corrispondeva a quel famoso «denaro» o «soldo», che valeva quanto lo stipendio giornaliero di un operaio, cioè quanto strettamente necessario per il cibo di ogni giorno. obolo della vedova Gesù non esagera quando dice che quelle due monetine (del valore di un soldo) gettate senza alcuna possibilità di far rumore - tanto erano leggere - dalla povera vedova nel tesoro del Tempio rappresentano tutto quello che aveva per vivere, perché era il suo fabbisogno giornaliero. E qui sta la grande contraddizione: una donna che avrebbe dovuto solamente attingere, vi mette ciò che le era rimasto per vivere quel giorno, perché il resto era stato divorato da coloro che, invece, quelle monete gettate nel Tempio avrebbero dovute usarle per sostenere la vedova e i suoi figli Una volta... No, non sono frasi fatte né affermazioni obsolete quelle che spesso si sentono dire: «Una volta erano più poveri, ma c’era molta più solidarietà e molta più condivisione verso il bene comune». E quanto è vero questo in relazione al “tesoro del Tempio” di noi cristiani, ovvero a tutti quei beni economici, culturali e strutturali di cui tutte le Chiese sono o sono state ricche. Belle chiese, offerte dei poveri Se abbiamo chiese così belle, oratori così grandi, edifici e strutture che spesso ora diventano difficili da gestire, ma che rappresentano un patrimonio e una ricchezza incommensurabile e che sentiamo profondamente nostre, non è certo per la generosità dei grandi ricchi benefattori che possono anche aver dato cifre significative e dal tintinnio molto forte. Se le nostre comunità sono ricche, lo sono per il silenzioso e sofferto apporto di tante persone umili e senza grandi possibilità economiche; lo sono per la costante, sia pur misera, capacità di tante umili famiglie di dare qualcosa alla Chiesa appena fosse stato loro possibile; lo sono per il silenzioso, semplice e costante lavoro di volontariato di chi, senza far rumore intorno a sé, certe strutture ha contribuito e continua a contribuire per mantenerle vive ed efficienti; lo sono perché chi crede nella loro importanza e nell’utilità del bene comune lo fa a ragione veduta, per avere a sua volta ricevuto molto. AVER POCO in DUE è già comunità Di sicuro, di amore, qui, ce n’è parecchio. Ed è l’amore di chi, pur avendo poco, fa a metà con gli altri anche di quel poco. Almeno, così, non ci sarà uno che non ha nulla e l’altro che ha poco; avranno poco entrambi, ma saranno sempre in due. E una comunità d’amore si costruisce almeno in due: soprattutto, lo si fa senza preoccuparsi del roboante tintinnio di tante monete superflue. Barnaba CENTENARIO DEI SALESIANI - Un cammino di educazione e servizio al territorio «Noi facciamo parte di questa storia» È nello spirito di don Bosco rispondere ai bisogni dei giovani e delle famiglie pagine di storia della Chiesa - La battaglia di Lepanto Si fermò l’invasione con il rosario Nel XVII secolo divenne la pratica religiosa più popolare La comunità salesiana di Belluno ha recentemente celebrato il centenario della sua presenza sul territorio, un lungo percorso di impegno educativo e servizio alla collettività, iniziato il 23 ottobre 1924 con l’arrivo dei primi religiosi. Per l’occasione è stato pubblicato un libro che ripercorre questa storia, segnata da successi e sfide, testimoniando la volontà dei salesiani di rispondere ai cambiamenti e ai nuovi bisogni con passione e dedizione. «Questo libro provoca me e la mia comunità» – ha dichiarato don Alberto Maschio, direttore della comunità salesiana di Belluno dal 2019 – «Anche noi facciamo parte di questa storia, di quel grande sogno che don Bosco ha fatto. È quindi nostra responsabilità leggere l’oggi e avere il coraggio di nuove scelte». Secondo don Maschio, il compito dei salesiani è essere “profetici” rispondendo ai bisogni di giovani e famiglie con proposte educative che sappiano trasmettere l’amore di Dio e lo spirito di don Bosco. Oggi la presenza salesiana a Belluno si articola in diverse strutture: la scuola dell’infanzia, l’Istituto Agosti con scuola primaria e secondaria di primo grado, la parrocchia di San Giovanni Bosco (comprendente le chiese di Borgo Pra e Nogarè), l’oratorio-centro giovanile e il convitto per studenti maggiorenni e lavoratori. L’Istituto Agosti punta a un ambiente inclusivo, centrato sui ragazzi, che crescono insieme ai docenti in un percorso guidato dai valori salesiani di ragione, religione e amorevolezza. Negli ultimi anni, l’Istituto ha visto crescere le iscrizioni; oggi accoglie 348 studenti tra primaria e secondaria, mentre il Grest estivo ha ospitato oltre 500 ragazzi, seguiti da un centinaio di animatori. Rileggendo la storia della comunità bellunese, dagli anni Sessanta agli anni Ottanta si nota una presenza numerosa di sacerdoti e coadiutori laici. Oggi i confratelli sono dieci, un numero ridotto rispetto al passato. «Il futuro rappresenta una grande sfida, soprattutto per la crisi vocazionale che attraversa la Chiesa», osserva don Maschio, sottolineando la necessità di mantenere vivo il carisma salesiano anche con inferiori risorse umane, rafforzando oratorio e coinvolgimento delle famiglie. «È fondamentale offrire ai giovani un’esperienza autentica di incontro con la fede, piuttosto che un semplice indottrinamento». Quest’anno pastorale si concentra su due ambiti chiave: oratorio e famiglie. «L’oratorio ha cambiato volto», osserva don Maschio. «In passato era il punto di ritrovo per i giovani, che non avevano alternative. Ora l’offerta è molto più ampia e variata, per cui o l’oratorio offre un’esperienza di aggregazione forte, o i giovani scelgono altro». Per questo, si punta a coinvolgere un gruppo di studenti delle superiori, già attivi nel Grest, con l’intento di creare occasioni di incontro periodiche. Anche il coinvolgimento delle famiglie è diventato sempre più necessario. Se un tempo i giovani partecipavano senza che le famiglie fossero direttamente coinvolte, oggi è fondamentale un approccio integrato. «Senza le famiglie non si educa più, che si tratti di catechesi o di altre attività», afferma don Maschio. L’obiettivo è proporre un percorso formativo che coinvolga le famiglie, per rafforzare il legame tra la comunità salesiana e il territorio bellunese, confermando il ruolo dei salesiani come punto di riferimento educativo. Giorgio Reolon BELLUNO - La chiesa parrocchiale e l’istituto salesiano Agosti oggi, cento anni dopo. (Foto Riccardo Selvatico) Nel 1569 papa Pio V, domenicano, con la bolla Consueverunt consacra quell’organizzazione della preghiera del rosario stabilitasi a inizio Cinquecento: diviso in decine e con la meditazione di un mistero della vita di Cristo ad ogni decina, per un totale di 15 misteri e 150 Ave Maria. L’insegnamento di Pio V in questa bolla, ribadito in una seconda di tre anni dopo, si può così riassumere: la necessità della preghiera per superare le difficoltà, le tentazioni, le calamità; il rosario (la cui origine Pio V attribuisce a san Domenico) è un mezzo semplice e praticabile da ogni fedele; soprattutto questa preghiera si è dimostrata molto efficace: ha operato conversioni, trattenuto le eresie, è stata un baluardo per la fede; a tutti i fedeli ne raccomanda la recita. In occasione della battaglia navale di Lepanto, combattuta il 7 ottobre 1571, Pio V chiamò tutti i cristiani a pregare il rosario per sostenere i combattimenti bellici finalizzati a fermare l’avanzata dell’Islam. Si trattò di un’unione di preghiera formidabile: tutta la Chiesa cattolica si unì al papa nella preghiera del rosario per ottenere da Maria la vittoria sui Turchi. In seguito alla vittoria della coalizione cristiana, Pio V nel 1572 promulgava la bolla Salvatoris Domini, con la quale istituiva al giorno 7 ottobre la festa liturgica Nostra Signora della Vittoria a ricordo dell’evento. L’anno seguente, 1573, il nuovo papa, Gregorio XIII, stabilì che tale festa si celebrasse la prima domenica di ottobre sotto il titolo di Madonna del rosario. Siamo ormai negli anni seguenti al Concilio di Trento e la devozione al rosario, già assai praticata tra i fedeli, si diffonde capillarmente. Sono infatti due le devozioni per eccellenza della Chiesa post tridentina: la devozione eucaristica e quella mariana, per consolidare due aspetti fondamentali della fede negati dalla Riforma protestante. La devozione eucaristica si vive con varie espressioni: la collocazione centrale del tabernacolo, le processioni eucaristiche e soprattutto l’adorazione eucaristica. La devozione mariana si vive soprattutto attraverso la preghiera del rosario. Come ha scritto lo storico francese Jean Delumeau: «La recita del rosario, o del suo sottomultiplo di cinque misteri, era diventata nel XVII secolo la più popolare pratica religiosa cattolica, specialmente dopo l’istituzione della festa del Santo Rosario, con cui veniva ricordata la vittoria di Lepanto (7 ottobre 1571)». A promuovere la devozione del rosario erano attive le confraternite ad esso dedicate, che attiravano l’adesione di numerosi fedeli. Dalla fine del Cinquecento le due confraternite che capillarmente si diffondono nelle parrocchie sono la Confraternita del Santissimo e la Confraternita del rosario. Anche l’arte viene in supporto a questa devozione: si diffonde l’immagine della Vergine che consegna ai suoi devoti la corona del rosario. I papi accordavano ripetutamente speciali indulgenze ai fedeli che recitavano il rosario e in particolare alle confraternite del rosario. Papa Innocenzo XI in una bolla del 1679 elencò dettagliatamente, riconfermandole, tutte le indulgenze che i suoi predecessori avevano accordato ai fedeli, uomini e donne, appartenenti alle confraternite del rosario. Le principali occasioni in cui ottenere l’indulgenza plenaria, sempre alla condizione di essersi confessati e comunicati, erano: il momento di ingresso nella confraternita; partecipare alla processione del rosario la prima domenica di ogni mese; partecipare alla processione del rosario in occasione delle principali feste mariane; la visita ad una cappella della Madonna del rosario nelle feste mariane, o la prima domenica del mese, o la terza di aprile, o la prima di ottobre; a coloro che impediti a partecipare alle processioni recitino l’intero rosario (15 misteri) o la sua terza parte (5 misteri); facendo la comunione nei primi sabati del mese per 15 mesi consecutivi. Per i fedeli che non fan parte della confraternita, le occasioni in cui ottenere l’indulgenza plenaria, sempre essendosi confessati e comunicati, sono: la visita a una cappella della Madonna del rosario nelle feste mariane; la visita ad una cappella della Madonna del rosario nella prima domenica di ottobre; la partecipazione alla processione del rosario la prima domenica del mese. don Claudio Centa Lorenzo Lotto, Madonna del rosario, 1539, Palazzo Comunale di Cingoli (Macerata). Nell’imponente dipinto (m 3,84 x 2,64) sono raffigurati i 15 misteri del rosario così come li aveva fissati nel 1521 (nemmeno vent’anni prima), il domenicano Alberto da Castello. le nostre belle chiese, costruite con i consigli dei maggiorenti e le offerte dei poveri

7 L’Amico del Popolo 7 novembre 2024 - N. 44 Chiesa locale Attività diocesane Diario del Vescovo GIOVEDÌ 7 - Presiede il Collegio dei Consultori (Curia, ore 9.30). Partecipa all’incontro dei referenti sinodali del Triveneto (ore 20.30). VENERDÌ 8 - SABATO 9 - Partecipa all’incontro residenziale del Coordinamento foraniale di Alpago - Longarone - Zoldo (santuario Santi Vittore e Corona, inizio ore 18). LUNEDÌ 11 - Presiede la santa Messa nella solennità di san Martino, patrono della Diocesi e della città di Belluno (Cattedrale, ore 10 - in diretta su Telebelluno). Presiede i secondi vespri della solennità di san Martino (Cattedrale, ore 18.30). MARTEDÌ 12 - Partecipa alla Conferenza Episcopale Triveneto (Zelarino, ore 9). Presiede la giunta del Coordinamento foraniale di Agordo e Livinallongo (Rivamonte, ore 20). MERCOLEDÌ 13 - Incontra il Consiglio Parrocchiale per gli Affari Economici di Duomo e Loreto (ore 20). VENERDÌ 15 - DOMENICA 17 - Partecipa all’Assemblea sinodale delle Chiese in Italia (Roma). Cresime SABATO 9 - Calalzo di Cadore (ore 16). DOMENICA 10 - Cavarzano (ore 16). la storia - Come il Vescovo di Tours divenne patrono della città e della diocesi San Martino arrivò a Belluno Soldato, monaco e vescovo, diventava icona di una società sulle soglie del Medioevo La diocesi di Belluno e la stessa cattedrale del capoluogo hanno come patrono e titolare san Martino, uno dei santi più popolari e universalmente diffusi. Ma quando è arrivato, con il suo cavallo e il suo mezzo mantello, ai piedi della Schiara? Secondo una tradizione antica, ripresa dagli storici locali a partire dal cinquecentesco, Giorgio Piloni, sarebbe stato un vescovo di nome Felice, amico di Venanzio Fortunato, nell’anno 547, a scegliere Martino per l’intitolazione del duomo cittadino. In realtà quel vescovo Felice era un vescovo di Treviso, reduce da un viaggio citato proprio dai versi di Venanzio Fortunato, che lo aveva portato fino a Ravenna dove era guarito da una malattia degli occhi ungendosi con l’olio della lampada che ardeva davanti all’altare dedicato a San Martino. Che era quindi un culto già diffuso nell’Italia in fase di effimera riunificazione al termine delle guerre gotiche di Giustiniano. Ma un vescovo di Belluno di nome Felice in quegli stessi anni è davvero esistito e un frammento del suo sarcofago, con il suo nome inciso, era stato trovato nel Settecento nel ricostruire la chiesetta di Santa Maria di Val de Nere, nei pressi di Bolago, per finire poi disperso in età napoleonica. Un vescovo cattolico costretto come molti altri, in quell’epoca in cui imperatore ed esercito erano per lo più ariani, a vivere e a essere sepolto lontano dalla città. Come il Sant’Homininus venerato a Carmegn, o come i due personaggi che erano stati sepolti nella doppia cripta sotto l’altare di San Daniele/ Liberale, sopra Cusighe. O come lo stesso san Lucano, costretto a trovare rifugio nella valle agordina che si apre da Taibon verso le Pale di San Martino. San Martino era vissuto nel quarto secolo dei grandi concili e delle grandi eresie, che avevano costretto all’esilio prima il suo grande amico Ilario e poi lui stesso. La sua vita è stata raccontata da Sulpicio Severo, uno scrittore che aveva vissuto con lui molti anni ed era quindi testimone diretto del suo carisma. Sulpicio racconta di una vita scandita da tre fasi: 25 anni di servizio militare, poi la scelta monastica, infine l’acclamazione vescovile e un servizio episcopale caratterizzato dalla conversione delle campagne ancora pagane e dall’opposizione alle eresie. È questa sua triplice figura (miles, monachus, episcopus) che ne ha fatto un modello per le città al tramonto dell’età romana, quando paganesimo, eresia e invasioni avrebbero minacciato dalle fondamenta la nuova fragile costruzione di quella che di lì a poco sarebbe divenuta l’Europa cristiana. Non ci sono elementi per stabilire con certezza se l’intitolazione del duomo di Belluno a san Martino fosse già stata decisa dal vescovo Felice del sesto secolo, costretto a vivere e morire fuori città mentre a Belluno si davano il cambio di ultimi Ostrogoti e i primi Longobardi, entrambi ariani, o se invece sia stata una scelta adottata due secoli più tardi, alla fine del dominio longobardo o addirittura all’arrivo dei vescovi carolingi che dalla Francia avrebbero diffuso il culto martiniano. Ma è vero che Venanzio Fortunato era di ValdobbiaVIGO DI CADORE - San Martino, al centro del pregevole trittico custodito nella chiesa parrocchiale. dene, quindi molto vicino a Belluno, e aveva cantato e propagato Martino in queste zone fin dal sesto secolo, quando ariani e cattolici si alternavano abbastanza di frequente alla guida della chiesa bellunese, come dimostrano le molte lacune della cronotassi episcopale dovute molto più probabilmente alla cancellazione dei nomi dei vescovi ariani che non alla distrazione di qualche antico cancelliere. In conclusione, quindi, finché la Chiesa di Belluno fu in mano agli Ostrogoti ariani è del tutto improbabile un’intitolazione della cattedrale a san Martino, che diventò invece una scelta quasi naturale al momento della caduta nel 553 dell’ultima resistenza gotica asserragliata con Totila e Teia proprio tra Treviso e Belluno: Martino campione contro gli eretici era il titolo più adatto per una cattedrale finalmente tornata all’ortodossia cattolica. Ma la riunificazione operata da Giustiniano durò meno di quindici anni. Nel 568 arrivarono inarrestabili i Longobardi di Alboino, anch’essi ariani. Il culto martiniano sostenuto dai vescovi cattolici dovette tornare in una sorta di clandestinità, mentre la cattedra vescovile passava ancora una volta in mano agli ariani, almeno fino alla fine del sesto secolo, quando Teodolinda e Agilulfo convertirono anche i Longobardi al cattolicesimo. Fu allora che l’intitolazione a Martino poté verosimilmente tornare a essere ufficiale e definitiva. Martino, archiviato vittoriosamente il suo ruolo di campione della cattolicità contro gli ariani, avrebbe potuto dedicarsi da quel momento a esercitare il suo secondo carisma di convertitore delle campagne bellunesi e dolomitiche ancora pagane, nonché – da vecchio veterano – di “defensor civitatis” contro l’ultima minaccia esterna degli Ungari. Marco Perale L’Amico ringrazia i suoi collaboratori BELLUNO - 30 ottobre 2024: foto di gruppo per i propagandisti dell’Amico del Popolo. BELLUNO - Il Vescovo e il direttore con Carla De Nardin, di Agordo, da 20 anni propagandista della testata. Mercoledì 30 ottobre, si è tenuto il tradizionale incontro dei propagandisti de L’Amico del Popolo al Centro Giovanni XXIII, per salutare Carlo Arrigoni, arrivato alla meritata pensione, e per conoscere il nuovo direttore, Alberto Laggia. Nell’occasione l’informatico Piero Bridda ha presentato l’archivio digitale dell’Amico, 115 anni di storia a disposizione di appassionati e studiosi. Poi è venuta l’ora dei riconoscimenti ai propogandisti più “longevi”, ai quali deve giungere la gratitudine del settimanale, della redazione e del vescovo Renato, presente all’incontro. Da oltre 80 anni al servizio della liturgia Pietrobon Bruno Arredi Sacri Piazza Duomo, 8 - 31100 Treviso tel. 0422541690 pietrobon@pietrobon.it

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