11 L’Amico del Popolo 7 novembre 2024 - N. 44 Vita missionaria Come aiutare È possibile sostenere i missionari: • presso gli Uffici del Centro missionario, a Belluno in piazza Piloni 11, tel. 0437 940594 ud.missione@chiesabellunofeltre.it • con bonifico bancario: IT73U0200811910000002765556 IN MISSI NE niger – Padre Mauro Armanino, missionario SMA e amico di don Augusto Antoniol, scrive agli amici in Italia Nel Sahel governano i “regimi di sabbia” Non si potrà uscire dalla “spirale della violenza” in una logica di annientamento delle persone Padre Mauro Armanino è un missionario SMA (Società Missioni Africane) e dall’aprile del 2011 è a Niamey, capitale del Niger. Segue in particolare il fenomeno della migrazione da uno dei suoi maggiori punti di snodo: il Niger, cerniera tra l’Africa sub-sahariana e il Nord-Africa. Per vari anni ha collaborato con il lamonese don Augusto Antoniol, quando era missionario Fidei donum in Niger. Regimi di sabbia In questa porzione del Sahel è in fase di applicazione una forma artigianale di totalitarismo, ovvero la dittatura del controllo totale. Si tratta del tipo più sviluppato di regime dittatoriale. Oltre alla repressione, all’ideologia e al capo, si aggiunge la presenza del regime in ogni ambito della vita. Ciò nel contesto della svalutazione dei tipi di democrazia sperimentati finora e scelti come capri espiatori delle attuali “impasse”. Gli attacchi dei Gruppi Armati Terroristi, la crisi economica, le carestie e la ricerca di un’identità “autoctona” hanno condotto all’idea di “rottamazione” di una democrazia vista come una forma neocoloniale di gestione della politica. Si tratta di un totalitarismo di “sabbia”. La vicenda di un immigrato Ahmed è originario della Somaliland. Dopo aver presentato il documento di “richiedente asilo” e quello, plastificato, dell’Alto Commissariato per i Rifugiati, condivide alcune delle immagini che il telefono cellulare ha registrato nel deserto. Ahmed dice di aver perso la sua patria, il figlio, deceduto al momento della nascita a Niamey e la propria salute. Si trova ospite precario in una delle case di accoglienza delle istituzioni di protezione umanitaria. Dice che il suo cuore non è più quello di prima. Le sue notti sono da tempo abitate da paure e incubi. Lui e molti come lui, passato dall’Etiopia al Sudan per arrivare all’inferno libico, ce lo ricordano. Il primo totalitarismo è quello della violenza. Il totalitarismo della violenza Di essa si vive in buona parte del nostro Sahel. L’indigenza, il ruolo nefasto dei gruppi armati di “ispirazione islamico-commerciale”, l’assenza dello Stato, l’allentamento dei legami culturali e l’esclusione crescente dei poveri sono alcune delle espressioni della violenza perpetrata quotidianamente nella società. Il totalitarismo della violenza si esprime anche nella “banalizzazione” della stessa. Si risponde alla violenza con la violenza e questo porta alla ben nota e denunciata “spirale” dalla quale non si potrà uscire finché si rimarrà in una logica di annullamento dell’altro come persona. Il totalitarismo si nutre della riduzione degli umani a cose, a oggetti scomodi. Le migliaia di migranti che continuano a tentare la fuga dal totalitarismo della miseria e dell’invisibilità della “globalizzazione” non sono che un sintomo del malessere che attraversa il mondo contemporaneo. strade migratorie mortali Da una parte, il totalitarismo di un’economia capitalista che rende superflua una grande porzione dell’umanità e, dall’altra, il totalitarismo della miseria che sopprime la vita e la speranza di un futuro differente. I mari e i deserti, ricordava recentemente il vescovo di Roma papa Francesco «sono strade migratorie che si rivelano mortali… occorre dirlo chiaramente: ci sono coloro che lavorano sistematicamente a espellere i migranti e ciò, in tutta coscienza, è un peccato grave». Il controllo dei regimi I regimi di matrice totalitaria non possono evitare di controllare, orientare, dirigere, mettere in riga la comunicazione e l’informazione. Questo, sulla scorta di quanto anche le altre agenzie che producono notizie stanno facendo da anni, anche i Paesi del Sahel stanno costruendo la “loro” agenzia che non potrà non farsi portavoce di coloro che la finanziano e dirigono. Come pure in ambito sociale, per un totalitarismo che si rispetti, non si potrà che andare verso un controllo accresciuto dei cittadini, delle loro idee e dei loro comportamenti. Certo non siamo a livello della Cina che piazza, a questo scopo, milioni di telecamere per “spiare” i cittadini, ma la delazione e i regolamenti di conti basteranno. Libertà collettiva? Qualche giorno fa, uno dei capi di uno stato del Sahel affermava testualmente che «non esiste una libertà personale ma solo una libertà collettiva». Ciò per evitare di cadere, secondo lui, nell’anarchia sociale. In effetti, nella frase citata, si può vedere in qualche parola lo stile stesso del totalitarismo di cui è questione. Chi si arroga il diritto di decidere l’uso della “libertà collettiva”? Qualche militare al potere grazie alle armi oppure i soliti illuminati che presumono aver trovato nella magica parola “sovranità” la chiave di volta per ridare dignità al popolo che essi presumono di rappresentare? Non c’è nulla di peggio che le “menzognere verità” come ricordava il dissidente russo Alexander Zinoviev, per perpetuare un sistema totalitario, per fortuna di sabbia, come sta scritto. padre Mauro Armanino Il racconto Il calendario con gli indios Shuar Ogni tanto, nei miei scritti, cito la stanza dei giochi, ma non mi sembra averla mai descritta completamente. Provo a farlo ora: si tratta della stanza del nostro appartamento che, pian piano, è servita come studio. Qui infatti scrivo e serve come deposito di tutto quello che non abbiamo ancora avuto il coraggio di buttare definitivamente. Dentro troviamo un sacco di cose come proiettori da diapositive e da film in super otto, lettere, ritagli di giornali, riviste ormai d’epoca, un mare di fotografie scattate in giro per le Missioni del mondo, vecchi registratori a cassetta e anche cd e via enumerando. Sta di fatto che, ogni volta che entro, mi capita sott’occhio qualche cosa che mi riporta al passato. Oggi, mentre rovistavo tra le carte, mi è venuta in mano una copia di un vecchio calendario: il calendario Shuar! Se non sono passati vent’anni dall’ultima volta che lo vidi, poco ci manca. Nonostante ciò, ricordo che quella volta c’era un po’ la mania di realizzare questo tipo di oggetti; tutti volevano farne uno per sfruttare i paesaggi, le persone, le cose in uso, utilizzando proprie foto. Visto il vento che tirava, i produttori non si fecero scrupoli per saccheggiare e poi vendere quadri di pittori famosi, paesaggi di sogno, visioni floreali, per arrivare fino a quelli di pessimo gusto che, a sentir loro, avevano un ottimo mercato. «Il calendario viene attaccato al muro visto da tutti e il messaggio pubblicitario, scritto sotto, viene letto ogni giorno», enunciavano con enfasi. La voce aveva contagiato anche noi del Centro Missionario, perciò accettammo la proposta che ci venne fatta da alcuni ragazzi che avevano partecipato al viaggio organizzato per vedere da vicino la Missione. La meta del gruppo di cui si parla fu l’Ecuador. Dire che tornarono entusiasti dell’esperienza fatta è riduttivo: erano affascinati! I più avevano scattato un sacco di fotografie che vi posso garantire, erano decisamente buone. Fu per queste che qualcuno disse: «Facciamo un calendario anche noi!». Non voglio annoiarvi raccontando dei sì e dei no, dei pro e dei contro; sta di fatto che l’oggetto fu realizzato e sponsorizzato dal Centro Missionario. Mentre sto scrivendo, tenendolo tra le mani, dopo così tanto tempo, posso riaffermare che è venuto veramente bene. A fianco di ogni foto, mese per mese, un testo, breve ma efficace tanto da farlo leggere volentieri. Sfogliandolo, incontriamo gli indios Shuar. I nostri ragazzi furono ospitati per un po’ di giorni facendo un’esperienza irripetibile nel loro villaggio, ai limiti della foresta amazzonica, chiamato Santa Lucia: quell’esperienza da sola valse più di tutto il viaggio. In considerazione che questo calendario non era destinato alla vendita, ne furono stampate poche copie, subito distribuite e una, chissà come mai, mi è rimasta in ricordo; che sia un segno che voglia essere ristampata? Mario Bottegal ECUADOR - Indios Shuar. (foto archivio missionari salesiani) NIGER - Un momento di preghiera con i cristiani. NIGER - Padre Mauro con alcuni collaboratori nel villaggio NIGER - Scene di vita nel villaggio nella savana. NIGER - Soglie del deserto.
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