L'Amico del Popolo digitale

33 L’Amico del Popolo 7 novembre 2024 - N. 44 L’Amico del Popolo Cultura Nel corso della Prima Guerra Mondiale furono arruolati oltre duemila cappellani militari, impiegati non solo in cura d’anime al fronte o nelle retrovie, ma pure nelle Sezioni di Sanità: una pagina di storia italiana ancor oggi non del tutto acclarata. Sui cappellani che militarono nei reparti alpini, tema che interessa più da vicino la provincia bellunese, sono eloquenti le cifre raccolte da Giuseppe Martelli e postate sul sito www.noialpini.it: 93 cappellani militari caduti, 3 Medaglie d’Oro, 137 Medaglie d’Argento, 299 Medaglie di Bronzo, 94 Croci al valore militare. Tra i decorati anche don Piero Zangrando di Perarolo del battaglione Val Piave, e padre Domenico De Rocco di Forno di Canale del battaglione Monte Antelao, entrambi Medaglie di Bronzo. Era il 12 aprile 1915 allorché Cadorna diramò la circolare che istituiva i cappellani cattolici in tutte le unità militari, ma fu solo il 2 giugno che il ministero si decise a nominare i primi tre cappellani valdesi. Poi il loro numero salì a nove, dei quali tre furono assegnati al 3° Reggimento Alpini, nei cui reparti molti provenivano dalle valli valdesi: il capitano Eli Bertalot, il capitano Giovanni Bonnet e il tenente Enrico Pascal, che poi sarà insignito di Medaglia d’argento al valor militare. E poiché quest’ultimo si trovò a vivere in provincia di Belluno una drammatica esperienza nei frenetici giorni seguiti alla disfatta di Caporetto, ho cercato di ricostruirla sulla base delle poche testimonianze rimaste. Il nostro, nato a Salza di Massello (Torino) il 5 marzo 1883, compì gli studi classici al Collegio Valdese di Torre Pellice, frequentò la Facoltà valdese di Teologia di Firenze e, consacrato il 2 settembre 1912, ebbe la sua prima sede pastorale a Prali (Torino). Scoppiata la guerra, nel giugno 1915 fu nominato cappellano militare presso il battaglione Alpini Pinerolo (compagnie 25ª, 26ª, 27aª e 82ª), che, dislocato sul fronte isontino, si distinse negli attacchi al Monte Stol e al Monte Nero, venendo poi spostato il 7 aprile 1916 nell’Alto But in Carnia, nella zona di Paluzza e Pal Piccolo. Qui rimase fino al 25 ottobre 1917, poi ripiegò in Val Resia e quindi su Resiutta, Stazione per la Carnia, Tolmezzo e Cavazzo Carnico. Il 7 novembre a Campone, presso Tramonti, il reparto fu costretto alla resa e solo pochi superstiti riuscirono a raggiungere Bolzano Vicentino e Pozzoleone. Enrico Pascal, il “buon Pascal”, come viene chiamato confidenzialmente dalla truppa, si trova dunque ad operare in una formazione in cui militano molti oriundi delle sue valli e ne segue le alterne vicende, sempre a fianco dei suoi soldati, sia in prima linea, sia negli ospedali delle retrovie. Nelle sue lettere egli racconta fatti dolorosi, come ad esempio l’uccisione di un suo giovane parrocchiano (Jean Étienne Grill), oppure la morte per fulmine di tre soldati durante uno spaventoso temporale. Vieppiù provato da tante dure esperienze, egli dichiara ad un certo punto di sentirsi incapace di svolgere pienamente il proprio ruolo, ma resta al suo posto. Arriva poi Caporetto e il disastro costituisce naturalmente un drammatico trauma per tutti i cappellani, tanto che quelli valdesi della Lombardia e del Veneto sono chiamati a Milano per un incontro con il moderatore della Tavola (organo esecutivo della Chiesa valdese), alla fine del quale tutti dichiarano di voler «rimanere al loro posto per il compimento del loro dovere». A quella riunione però il Pascal non è presente, di lui non si sa nulla e solo l’8 dicembre si fa vivo con una CADORE - Le traversie di un pastore valdese tra Carnia, Cadore e Bellunese Alla ricerca del battaglione perduto Un’odissea nei frenetici giorni dopo la disfatta di Caporetto nell’ottobre 1917 lunga lettera in cui descrive quanto accadutogli. Non gli era stato possibile recarsi a Milano perché nei tragici giorni della ritirata non era con i suoi alpini del Pinerolo, ma in giro per il Cadore, in ospedali e ospedaletti della IV Armata, ai quali era stato provvisoriamente assegnato. Appena compresa la gravità della situazione, aveva cercato di ritornare autonomamente in Carnia facendosi a piedi il Passo della Mauria, senza peraltro ottenere notizie del Pinerolo. «Seppi poi che fin dall’inizio dell’offensiva – egli racconta – era stato mandato in Val Resia a sbarrare la strada al nemico e di là aveva passato il Tagliamento. Per raggiungerlo mi toccava di ritornare nuovamente indietro fino a Longarone e per Claut scendere a Tramonti. Così cercai di fare. Certo è che se mi fossi trovato in Carnia avrei seguito il “Pinerolo” e ne avrei seguito la sorte». Alla fine della sua inutile ricerca, si aggrega al battaglione Val Pellice, in cui militano molti valdesi, e nei giorni seguenti alla ritirata sul Piave cerca di prodigarsi in ogni modo per assistere i soldati e dare notizie alle loro famiglie. Confessa però di sentire «un rilassamento delle forze morali, per cui il ministero è meno efficace e benedetto di prima»: un’ammissione che ci fa capire come il dilagare del lutto fosse riuscito a incrinare la sua missione nella comunità fraterna creatasi al fronte. Me lo immagino in quel suo salire da Lorenzago verso il Mauria e Forni di Sopra, andando controcorrente rispetto alla marea impressionante di interi nostri reparti in fuga alla volta di Pieve e Tai. O magari quando, ritornato in Cadore, da Longarone risaliva verso Claut, ignaro che tra poco proprio da lì sarebbe venuto il nemico per chiudere in un’esiziale sacca 10mila uomini della IV Armata. In quali ospedali e ospedaletti del Bellunese egli sia stato chiamato a operare non è noto, come non sappiamo se abbia avuto contatti con il battaglione Fenestrelle, che fu a lungo in Comelico e che tra i suoi effettivi contava tanti piemontesi valdesi. È certo però che il peso della sofferenza vissuta si insinuò così profondamente nella sua anima da sconvolgerla, tanto che qualcuno lo considera uno dei cappellani che avvertirono con maggiore intensità tutte le contraddizioni di quelle che venivano chiamate “parrocchie al fronte”. Non per questo cessò di spendersi fino all’ultimo e la sua abnegazione al fronte e negli ospedali in Cadore sull’Isonzo gli valse la medaglia d’argento con questa motivazione: «Pastore valdese, sin da principio della campagna disimpegnò la sua missione dando mirabile esempio di coraggio e di altruismo, sempre pronto a esporsi dove maggiore era il pericolo, portando conforto della sua parola a moribondi e altri feriti, incurante di sé e animato soltanto dal più sereno spirito di nobile pietà». Congedato per motivi di salute nel 1918, Pascal poté ritornare nella sua parrocchia di Prali, ma poi nel dopoguerra fu per alcuni anni pastore nella chiesa valdese di Ombues de Lavalle (Uruguay). Tornato in Italia fu nominato a Rorà, Reggio Calabria, Cerignola e Orsara di Puglia e infine Forano Sabina. Divenuto pastore emerito nel 1952, morì a Luserna San Giovanni il 2 ottobre 1965. Walter Musizza LONGARONE - S oldati con l’ufficiale Camillo Vazzoler nel 1917. Enrico Pascal (1883-1965). AURONZO DI CADORE - Tende di sanità. I drappi del Palio di Feltre in mostra fino all’8 dicembre Viene prolungata fino a domenica 8 dicembre la mostra “45 anni di Passione. Colori, immagini, emozioni nei drappi del Palio di Feltre”, evento dedicato alla memoria di Bruno Gorza. L’iniziativa che sta attirando centinaia di visitatori, è mirata all’approfondimento della storia del Palio e conseguentemente di quella della città, attraverso questa particolare forma di espressione artistica. Dopo 45 anni, la collezione dei drappi rappresenta infatti una ricchezza culturale per tutto il territorio. Realizzata in collaborazione con il Museo Diocesano di Belluno-Feltre e il sostegno della Camera di Commercio di Treviso-Belluno, la mostra era stata inaugurata il 25 luglio. Ora la decisione di continuare fino all’8 dicembre. Il presidente del Palio, Eugenio Tamburrino, esprime la sua soddisfazione per l’esito dell’evento: «Siamo felici del successo riscosso dall’iniziativa, che abbiamo promosso con tanta determinazione e del fatto che da più parti ci sia arrivata la sollecitazione a prolungarne il periodo di apertura. Per questo – di concerto con il Museo Diocesano, che ringraziamo – abbiamo deciso di mantenere la mostra attiva fino all’otto di dicembre, in modo che possa accompagnare la città fino all’inizio delle festività natalizie». FELTRE - Continua fino all’8 dicembre al Museo diocesano la mostra dei drappi del Palio di Feltre. BORGO VALBELLUNA - 2° appuntamento Cultura e trekking Incontro con l’autore venerdì 8 novembre Dopo il successo della serata con Mario Piazzo, l’iniziativa “Appuntamento con l’autore” prosegue con Giovanni Carraro, trail explorer impegnato nella riscoperta dei sentieri della pedemontana, dal Monte Grappa al Visentin. L’evento, anteprima autunnale del festival “Camminando, esperienze, sensazioni, emozioni”, si terrà venerdì 8 novembre alle 20.45 all’Auditorium San Pietro di Mel. Carraro, ideatore del Cammino del Prosecco e autore di una recente guida sui sentieri del Grappa, porterà il pubblico in un viaggio tra paesaggi suggestivi, storia, tradizioni e leggende che avvolgono di mistero il crinale tra Dolomiti e Laguna. La serata sarà presentata da Andrea Cecchella, esperto di attività outdoor, che arricchirà l’incontro con aneddoti e curiosità raccolti attraverso le testimonianze di chi ha accompagnato Carraro nelle sue esplorazioni. Tra le storie narrate spicca quella de “La Beta”, l’anziana che viveva nella Casa del Guardian sul monte Foral e scendeva a Cordellon per rifornirsi di vettovaglie; morì sola con le sue capre, lasciando il nome alla Casera Beta. Verrà raccontata anche la leggenda della “Caza Selvàrega”, che narra di cortei infernali a punizione dei cacciatori che violavano l’obbligo di astensione domenicale dalla caccia. Non mancheranno episodi come la caduta del bombardiere B24 a Sant’Antonio in Tortal nel 1944 e il mistero della base Nato Yankee Relay sul monte Cimone durante la Guerra Fredda. Queste storie offriranno un’anteprima della nuova guida che Carraro sta completando, frutto di ricerche sul territorio. L’evento rappresenta un’occasione per riscoprire un’area spesso sottovalutata, ma valorizzata da persone appassionate come Carraro, come dall’impegno dell’Amministrazione Comunale di Borgo Valbelluna, per svelarne le bellezze naturali e scoprire storie affascinanti. Giovanni Carraro.

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