6 L’Amico del Popolo 7 novembre 2024 - N. 44 L’Amico del Popolo Chiesa locale 32a domenica del tempo ordinario La parola della settimana La vedova ha gettato nel tesoro più di tutti; «nella sua miseria ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere» (cf. Mc 12,43-44) Il tesoro del Tempio di Gerusalemme era davvero una bella intuizione, almeno nelle sue intenzioni. Le offerte che vi venivano «gettate» erano utilizzate principalmente per due scopi: quello di mantenere la struttura del tempio e l’aiuto nei confronti delle persone indigenti. Le categorie maggiormente colpite dalla povertà erano quelle dove il capofamiglia, spesso unico lavoratore, era venuto a mancare: parliamo delle vedove e degli orfani. Così come si trattava di una nobile istituzione, altrettanto si deve dire che si assisteva a fenomeni di corruzione: la cassa era gestita in maniera arbitraria e gerarchica dalla classe sacerdotale, nella quale molti puntavano agli interessi della classe stessa, se non addirittura a quelli personali. Non era infrequente, infatti, che alla morte del coniuge, la vedova venisse visitata dai meno scrupolosi tra i farisei e i funzionari del Tempio, i quali le assicuravano che l’avrebbero difesa in ogni ambito della vita sociale, politica e giudiziaria a condizione che essa e i suoi figli avessero lasciato a loro amministrare il patrimonio rimasto a disposizione come lascito del defunto marito. E Gesù non usa mezzi termini, quando parla di questi come gente che «divora le case delle vedove»: lasciavano alle vedove il necessario per il sostentamento quotidiano, e a poco a poco si appropriavano di tutto il resto in cambio di presunti appoggi e favori che spesso non arrivavano. Il fabbisogno quotidiano corrispondeva a quel famoso «denaro» o «soldo», che valeva quanto lo stipendio giornaliero di un operaio, cioè quanto strettamente necessario per il cibo di ogni giorno. obolo della vedova Gesù non esagera quando dice che quelle due monetine (del valore di un soldo) gettate senza alcuna possibilità di far rumore - tanto erano leggere - dalla povera vedova nel tesoro del Tempio rappresentano tutto quello che aveva per vivere, perché era il suo fabbisogno giornaliero. E qui sta la grande contraddizione: una donna che avrebbe dovuto solamente attingere, vi mette ciò che le era rimasto per vivere quel giorno, perché il resto era stato divorato da coloro che, invece, quelle monete gettate nel Tempio avrebbero dovute usarle per sostenere la vedova e i suoi figli Una volta... No, non sono frasi fatte né affermazioni obsolete quelle che spesso si sentono dire: «Una volta erano più poveri, ma c’era molta più solidarietà e molta più condivisione verso il bene comune». E quanto è vero questo in relazione al “tesoro del Tempio” di noi cristiani, ovvero a tutti quei beni economici, culturali e strutturali di cui tutte le Chiese sono o sono state ricche. Belle chiese, offerte dei poveri Se abbiamo chiese così belle, oratori così grandi, edifici e strutture che spesso ora diventano difficili da gestire, ma che rappresentano un patrimonio e una ricchezza incommensurabile e che sentiamo profondamente nostre, non è certo per la generosità dei grandi ricchi benefattori che possono anche aver dato cifre significative e dal tintinnio molto forte. Se le nostre comunità sono ricche, lo sono per il silenzioso e sofferto apporto di tante persone umili e senza grandi possibilità economiche; lo sono per la costante, sia pur misera, capacità di tante umili famiglie di dare qualcosa alla Chiesa appena fosse stato loro possibile; lo sono per il silenzioso, semplice e costante lavoro di volontariato di chi, senza far rumore intorno a sé, certe strutture ha contribuito e continua a contribuire per mantenerle vive ed efficienti; lo sono perché chi crede nella loro importanza e nell’utilità del bene comune lo fa a ragione veduta, per avere a sua volta ricevuto molto. AVER POCO in DUE è già comunità Di sicuro, di amore, qui, ce n’è parecchio. Ed è l’amore di chi, pur avendo poco, fa a metà con gli altri anche di quel poco. Almeno, così, non ci sarà uno che non ha nulla e l’altro che ha poco; avranno poco entrambi, ma saranno sempre in due. E una comunità d’amore si costruisce almeno in due: soprattutto, lo si fa senza preoccuparsi del roboante tintinnio di tante monete superflue. Barnaba CENTENARIO DEI SALESIANI - Un cammino di educazione e servizio al territorio «Noi facciamo parte di questa storia» È nello spirito di don Bosco rispondere ai bisogni dei giovani e delle famiglie pagine di storia della Chiesa - La battaglia di Lepanto Si fermò l’invasione con il rosario Nel XVII secolo divenne la pratica religiosa più popolare La comunità salesiana di Belluno ha recentemente celebrato il centenario della sua presenza sul territorio, un lungo percorso di impegno educativo e servizio alla collettività, iniziato il 23 ottobre 1924 con l’arrivo dei primi religiosi. Per l’occasione è stato pubblicato un libro che ripercorre questa storia, segnata da successi e sfide, testimoniando la volontà dei salesiani di rispondere ai cambiamenti e ai nuovi bisogni con passione e dedizione. «Questo libro provoca me e la mia comunità» – ha dichiarato don Alberto Maschio, direttore della comunità salesiana di Belluno dal 2019 – «Anche noi facciamo parte di questa storia, di quel grande sogno che don Bosco ha fatto. È quindi nostra responsabilità leggere l’oggi e avere il coraggio di nuove scelte». Secondo don Maschio, il compito dei salesiani è essere “profetici” rispondendo ai bisogni di giovani e famiglie con proposte educative che sappiano trasmettere l’amore di Dio e lo spirito di don Bosco. Oggi la presenza salesiana a Belluno si articola in diverse strutture: la scuola dell’infanzia, l’Istituto Agosti con scuola primaria e secondaria di primo grado, la parrocchia di San Giovanni Bosco (comprendente le chiese di Borgo Pra e Nogarè), l’oratorio-centro giovanile e il convitto per studenti maggiorenni e lavoratori. L’Istituto Agosti punta a un ambiente inclusivo, centrato sui ragazzi, che crescono insieme ai docenti in un percorso guidato dai valori salesiani di ragione, religione e amorevolezza. Negli ultimi anni, l’Istituto ha visto crescere le iscrizioni; oggi accoglie 348 studenti tra primaria e secondaria, mentre il Grest estivo ha ospitato oltre 500 ragazzi, seguiti da un centinaio di animatori. Rileggendo la storia della comunità bellunese, dagli anni Sessanta agli anni Ottanta si nota una presenza numerosa di sacerdoti e coadiutori laici. Oggi i confratelli sono dieci, un numero ridotto rispetto al passato. «Il futuro rappresenta una grande sfida, soprattutto per la crisi vocazionale che attraversa la Chiesa», osserva don Maschio, sottolineando la necessità di mantenere vivo il carisma salesiano anche con inferiori risorse umane, rafforzando oratorio e coinvolgimento delle famiglie. «È fondamentale offrire ai giovani un’esperienza autentica di incontro con la fede, piuttosto che un semplice indottrinamento». Quest’anno pastorale si concentra su due ambiti chiave: oratorio e famiglie. «L’oratorio ha cambiato volto», osserva don Maschio. «In passato era il punto di ritrovo per i giovani, che non avevano alternative. Ora l’offerta è molto più ampia e variata, per cui o l’oratorio offre un’esperienza di aggregazione forte, o i giovani scelgono altro». Per questo, si punta a coinvolgere un gruppo di studenti delle superiori, già attivi nel Grest, con l’intento di creare occasioni di incontro periodiche. Anche il coinvolgimento delle famiglie è diventato sempre più necessario. Se un tempo i giovani partecipavano senza che le famiglie fossero direttamente coinvolte, oggi è fondamentale un approccio integrato. «Senza le famiglie non si educa più, che si tratti di catechesi o di altre attività», afferma don Maschio. L’obiettivo è proporre un percorso formativo che coinvolga le famiglie, per rafforzare il legame tra la comunità salesiana e il territorio bellunese, confermando il ruolo dei salesiani come punto di riferimento educativo. Giorgio Reolon BELLUNO - La chiesa parrocchiale e l’istituto salesiano Agosti oggi, cento anni dopo. (Foto Riccardo Selvatico) Nel 1569 papa Pio V, domenicano, con la bolla Consueverunt consacra quell’organizzazione della preghiera del rosario stabilitasi a inizio Cinquecento: diviso in decine e con la meditazione di un mistero della vita di Cristo ad ogni decina, per un totale di 15 misteri e 150 Ave Maria. L’insegnamento di Pio V in questa bolla, ribadito in una seconda di tre anni dopo, si può così riassumere: la necessità della preghiera per superare le difficoltà, le tentazioni, le calamità; il rosario (la cui origine Pio V attribuisce a san Domenico) è un mezzo semplice e praticabile da ogni fedele; soprattutto questa preghiera si è dimostrata molto efficace: ha operato conversioni, trattenuto le eresie, è stata un baluardo per la fede; a tutti i fedeli ne raccomanda la recita. In occasione della battaglia navale di Lepanto, combattuta il 7 ottobre 1571, Pio V chiamò tutti i cristiani a pregare il rosario per sostenere i combattimenti bellici finalizzati a fermare l’avanzata dell’Islam. Si trattò di un’unione di preghiera formidabile: tutta la Chiesa cattolica si unì al papa nella preghiera del rosario per ottenere da Maria la vittoria sui Turchi. In seguito alla vittoria della coalizione cristiana, Pio V nel 1572 promulgava la bolla Salvatoris Domini, con la quale istituiva al giorno 7 ottobre la festa liturgica Nostra Signora della Vittoria a ricordo dell’evento. L’anno seguente, 1573, il nuovo papa, Gregorio XIII, stabilì che tale festa si celebrasse la prima domenica di ottobre sotto il titolo di Madonna del rosario. Siamo ormai negli anni seguenti al Concilio di Trento e la devozione al rosario, già assai praticata tra i fedeli, si diffonde capillarmente. Sono infatti due le devozioni per eccellenza della Chiesa post tridentina: la devozione eucaristica e quella mariana, per consolidare due aspetti fondamentali della fede negati dalla Riforma protestante. La devozione eucaristica si vive con varie espressioni: la collocazione centrale del tabernacolo, le processioni eucaristiche e soprattutto l’adorazione eucaristica. La devozione mariana si vive soprattutto attraverso la preghiera del rosario. Come ha scritto lo storico francese Jean Delumeau: «La recita del rosario, o del suo sottomultiplo di cinque misteri, era diventata nel XVII secolo la più popolare pratica religiosa cattolica, specialmente dopo l’istituzione della festa del Santo Rosario, con cui veniva ricordata la vittoria di Lepanto (7 ottobre 1571)». A promuovere la devozione del rosario erano attive le confraternite ad esso dedicate, che attiravano l’adesione di numerosi fedeli. Dalla fine del Cinquecento le due confraternite che capillarmente si diffondono nelle parrocchie sono la Confraternita del Santissimo e la Confraternita del rosario. Anche l’arte viene in supporto a questa devozione: si diffonde l’immagine della Vergine che consegna ai suoi devoti la corona del rosario. I papi accordavano ripetutamente speciali indulgenze ai fedeli che recitavano il rosario e in particolare alle confraternite del rosario. Papa Innocenzo XI in una bolla del 1679 elencò dettagliatamente, riconfermandole, tutte le indulgenze che i suoi predecessori avevano accordato ai fedeli, uomini e donne, appartenenti alle confraternite del rosario. Le principali occasioni in cui ottenere l’indulgenza plenaria, sempre alla condizione di essersi confessati e comunicati, erano: il momento di ingresso nella confraternita; partecipare alla processione del rosario la prima domenica di ogni mese; partecipare alla processione del rosario in occasione delle principali feste mariane; la visita ad una cappella della Madonna del rosario nelle feste mariane, o la prima domenica del mese, o la terza di aprile, o la prima di ottobre; a coloro che impediti a partecipare alle processioni recitino l’intero rosario (15 misteri) o la sua terza parte (5 misteri); facendo la comunione nei primi sabati del mese per 15 mesi consecutivi. Per i fedeli che non fan parte della confraternita, le occasioni in cui ottenere l’indulgenza plenaria, sempre essendosi confessati e comunicati, sono: la visita a una cappella della Madonna del rosario nelle feste mariane; la visita ad una cappella della Madonna del rosario nella prima domenica di ottobre; la partecipazione alla processione del rosario la prima domenica del mese. don Claudio Centa Lorenzo Lotto, Madonna del rosario, 1539, Palazzo Comunale di Cingoli (Macerata). Nell’imponente dipinto (m 3,84 x 2,64) sono raffigurati i 15 misteri del rosario così come li aveva fissati nel 1521 (nemmeno vent’anni prima), il domenicano Alberto da Castello. le nostre belle chiese, costruite con i consigli dei maggiorenti e le offerte dei poveri
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