Il segreto di papa Francesco
di Luigi Del Favero
Giovedì 13 marzo si compirà un anno dalla sera di quello straordinario «Habemus Papam», atteso da tutti con ansietà, che ha sorpreso il mondo. Un solo anno, che pare molto più lungo. La sorpresa è finita: l’uomo che abbiamo cominciato a conoscere e amare sembra Papa da sempre e nello stesso tempo sembra non aver mai smesso di fare il prete. È il parroco che tanti sognerebbero di avere, il confessore al quale tutti vorrebbero ricorrere, l’amico che grandi e piccoli desiderano incontrare. In questi dodici mesi si è scritto di tutto su di lui, al punto che lui stesso si è mostrato infastidito e non ha nascosto al giornalista Ferruccio De Bortoli la propria contrarietà sincera ad ogni esaltazione che fa di Bergoglio una figura eccezionale: «Sono un uomo normale!».
Tra le tante cose lette una mi ha sconvolto. Si tratta dei lunghi e dettagliati verbali del processo in cui il cardinal Giorgio Mario Bergoglio è stato sentito per ore e ore, non si sa se come testimone o come imputato in un processo che ha fatto clamore. Dal tono con cui il pubblico ministero si rivolgeva a lui, frugando in modo implacabile, si direbbe che Bergoglio era imputato, per molti già mezzo condannato. Tutto questo avveniva a Buenos Aires nel 2007. Il capo di accusa era tremendo: aver collaborato con la dittatura sanguinaria che per anni ha umiliato l’Argentina. L’arcivescovo era sospettato di aver perfino tradito e consegnato a spietati torturatori due preti che dipendevano da lui in quanto superiore dei gesuiti di Argentina. I fatti risalivano agli anni ’70. Il cardinale di Buenos Aires veniva chiamato semplicemente con il proprio cognome: Bergoglio; talvolta un pizzico di cortesia faceva dire: signor Bergoglio. Circolava una voce cattiva e nessuno può sapere se il cardinale l’abbia sentita. Si diceva che a quella manovra di discredito del vescovo non fossero estranei settori ecclesiastici indispettiti dal fatto che nel conclave del 2005 , secondo una ricostruzione attendibile, il cardinale Bergoglio avesse ricevuto un buon numero di voti, diventando il candidato alternativo a Ratzinger. Il processo avrebbe dovuto tagliargli la strada per sempre ad una nuova possibilità di diventare papa. Andò diversamente. La sua piena innocenza venne riconosciuta, senza che l’ombra si allontanasse del tutto, e lo Spirito di Dio che guida la storia stava preparando la sorpresa del 13 marzo 2013.
Ma come fa un uomo che ha sofferto tanto e ha attraversato una delle umiliazioni più dolorose diventare il Papa della gioia? La domanda non riguarda la morale che chiede al cristiano di perdonare. Si può perdonare sinceramente e restare segnati dall’amarezza, soffrendone fin nel fisico. Francesco invece è nella gioia vera, contagiosa, visibile. «Gioia» è la parola che usa di più; la seconda è «misericordia». È un atteggiamento profondo che affiora sul volto e nei gesti.
Il cardinale brasiliano Hummes che era seduto accanto a lui nel conclave e che gli è stato accanto la prima sera ha testimoniato con ricchezza di particolari come la cosa che stupì di più lui e tutti gli altri elettori sia stata la serenità, la calma, l’assenza di turbamento di Bergoglio. Avviandosi al balcone per la prima apparizione, fece cenno ad Hummes affinché lo accompagnasse. Questi si stupì per la chiamata e corse emozionantissimo vicino al nuovo Papa che gli disse: «Guarda che hai dimenticato la berretta, torna a prenderla!».
Ci deve essere una sorgente nascosta che alimenta la gioia di papa Francesco; quest’uomo deve possedere un segreto. In questi giorni se lo è chiesto anche Alberto Melloni, che di professione fa lo storico ed è solitamente molto esigente e critico quanto deve esserlo uno storico. La sua risposta è fulminante, anche se va letta almeno due volte: «Per annunciare con il proprio stile di vita la gioia della vita di fede bisogna avere una vita di fede. Niente di meno, niente di più».
Dunque il segreto di papa Francesco è molto semplice e sta nella sua fede. La indossa con naturalezza, con grazia e da 365 giorni non fa altro che rimettere ogni credente che incontra, specialmente vescovi, preti e religiosi, davanti alla bellezza e alle difficoltà della propria fede, al fascino e alle esigenze della sequela di Cristo. Per chi è lontano c’è solo misericordia e anche nelle regioni più lontane ‐ nelle periferie ‐ questo messaggio viene ascoltato.
Papa Francesco non ha paura. Soprattutto non ha paura del mondo moderno, della globalizzazione, della scienza, dell’ateismo. Non lo interessano i sondaggi, non si stupisce delle critiche che riceve, sembra non conoscere il vocabolario del successo, non ha la minima nostalgia del passato di cui conserva la memoria più serena e riconoscente, ma che non vuole risuscitare a nessun costo. Cominciando dalla liturgia che ci mostra semplice, essenziale, capace di parlare al cuore del popolo.
Da 43 anni, nella grande preghiera del Venerdì santo, dico con convinzione profonda le parole che accompagnano l’invocazione per il Papa: «Signore, ti preghiamo per il Papa che Tu hai scelto per noi». Tra qualche settimana, nella Pasqua 2014, alla sincerità di tutti questi anni vorrei unire un po’ di quella gioia che sta contagiando il mondo cristiano: «Signore, grazie per la sorpresa che ci hai preparato. Tu hai scelto per noi Francesco. Fa che il suo segreto sia anche il nostro e si diffonda in tutta la Chiesa».
Leggi "Don Luigi Del Favero" della settimana scorsa.
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