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Giovedì 27 dicembre 2018 ‐ S. Giovanni Apostolo

Il Dio inedito del Natale






L’omelia del vescovo Renato Marangoni il 25 dicembre.

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La parola «confini» torna spesso nelle letture bibliche della Messa del giorno di Natale. Lo ha notato il vescovo Renato Marangoni nell’omelia che ha tenuto la sera del 25 dicembre nella Basilica Cattedrale di Belluno, quando il suo intervento ha preso le mosse dalla frase del salmista e del profeta Isaia «Tutti i confini della terra hanno veduto la salvezza del nostro Dio».


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«In quali confini noi ci collochiamo?» si è chiesto il Vescovo e ha notato come il luogo dove ha inizio la salvezza «è dislocato e inosservato. Tutto, a partire dal luogo dove l’angelo del Signore indica ai pastori di andare, è paradossale: fuori della locanda, in una stalla, su una mangiatoia». Questo aspetto paradossale, ha proseguito il vescovo, serve per far notare «l’inedito di Dio, o meglio un Dio inedito (l’espressione è di papa Francesco nell’udienza generale del 19 dicembre scorso, ndr), che ribalta le nostre logiche e le nostre attese». «Davvero Dio inedito ha cambiato rotta! Noi pensavamo la sua manifestazione simile alle glorie che gonfiano la nostra vita e ci rendono concorrenti gli uni con gli altri. La via inedita di Dio è la sua incarnazione». Come i pastori, è necessario portarsi a Betlemme, nei luoghi dove la gloria di Dio si è fatta carne; altrimenti, «Dio resterà un "nessuno lontano", una caricatura della vita, una parola altisonante, che si può persino celebrare, ma vuota». Non importa, dunque, il confine dove uno si trova: l’importante è percepire «l’invito ad andare a vedere quel segno»: «nasce lì quella fraternità, tra persone, tra popoli, tra culture, tra persone che percorrono gli itinerari di fede, che è la parola più profonda che Dio ha voluto diventasse carne». Alla fine, ancora la parola al Papa, nel messaggio Urbi et orbi del giorno di Natale: «Senza la fraternità che Gesù Cristo ci ha donato, i nostri sforzi per un mondo più giusto hanno il fiato corto, e anche i migliori progetti rischiano di diventare strutture senz’anima».


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