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giovedì 26 Dicembre 2024,

Spopolamento, nel Bellunese un problema grave che richiede interventi

La situazione analizzata in un convegno promosso dal Fondo Welfare Dolomiti. Una fotografia per cambiare il domani ed evitare che sia una catastrofe (grafici Bressan – Cgil).

Il Fondo Welfare Dolomiti è nato il 15 ottobre 2018 dalla convergenza delle istituzioni bellunesi e della società civile. Due settimane dopo si è attivato per gli alluvionati dalla tempesta Vaia; poi il sostegno psicologico durante l’emergenza Covid e infine le frane della prima settimana di dicembre.

Venerdì 11 dicembre, durante un convegno online, le stesse istituzioni si sono concentrate sul problema dello spopolamento. «C’è equivalenza tra spopolamento e isolamento», nota Francesca De Biasi, presidente del Fondo: quando i figli vanno lontano, chi resta è nell’isolamento. Importanti i risultati di un questionario online, che ha interpellato oltre 1500 bellunesi: l’attrattività di altri territori sta nelle possibilità occupazionali, nell’efficienza dei trasporti e nelle maggiori occasioni di svago e cultura. I motivi per rimanere sono invece la sicurezza, il paesaggio naturale, le tradizioni e i valori della montagna. Di fatto, il 52% dei giovani bellunesi, tra dieci anni, si immagina fuori provincia; non mancano quelli che prevedono un rientro.

Preoccupante l’analisi demografica affidata a Renato Bressan, segretario regionale dello Spi Cgil. Rileva che, se nel 1982 gli abitanti della provincia erano 220mila, all’inizio del 2020 erano 201mila. Poiché il saldo demografico del 2019 era stato -1.289 unità e la perdita sarà verosimilmente analoga nel 2020, alla fine dell’anno la provincia scenderà sotto la soglia dei 200mila abitanti.

Pesante il confronto tra giovani (<14 anni) e anziani (>65 anni): a metà anni ‘80, i bellunesi anziani hanno cominciato a superare i giovani; in vent’anni li hanno doppiati; nel 2030 ci saranno 18mila giovani e 64mila anziani. In drastico calo i numeri della forza-lavoro (15-64 anni): erano 143mila nel 1982, sono 124mila nel 2020, saranno 116mila nel 2030. Numeri che comportano perdita di entrate fiscali e quindi aumenti nella compartecipazione alla spesa per i servizi. Circolo vizioso, che renderà ancor meno conveniente abitare in montagna. Lo stesso si innesca per la densità abitativa: in Italia si contano 199 abitanti per kmq, 268 nel Veneto, 56 in provincia di Belluno. I servizi pubblici in montagna costano di più, perché il costo fisso di un servizio deve essere pagato da meno utenti. Le conclusioni dell’analisi destano preoccupazione: «Sarà una catastrofe!», secondo Bressan, se non succederà, se non si farà qualcosa. Dal convegno qualche indicazione è venuta.

Considerando l’analisi sui giovani, il sociologo Gino Mazzoli dell’Università cattolica sottolinea: «Non impediamo che vadano, ma poniamo le condizioni perché tornino e ne vengano altri». Le aree interne del territorio italiano si dimostrano attrattive, perché hanno minor congestione. È stato evidenziato dalla crisi del Covid, che ha imposto di imboccare e apprendere la possibilità del telelavoro. «L’Italia ha questo da vendere: la bellezza di un territorio dove è piacevole vivere». Non si potrà tornare al «clima bulimico» di prima. Come abbiamo imparato in fretta a fare riunioni in videoconferenza, così dopo la pandemia è prevedibile un miscela di attività in presenza e online. Una strada anche per le vallate dolomitiche bellunesi.
Davide Fiocco

1 commento

  • A me piacerebbe molto venire a vivere definitivamente in montagna ma fintanto che si trovano esclusivamente immobili turistici è impossibile.

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