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Problemi di identità

di Luigi Del Favero

Oggi è ritornato. Nel primo dei tre giorni della merla, sul davanzale della cucina è riapparso un merlo che avevo conosciuto durante alcuni giorni passati in casa, condividendo con tanta gente i fastidi dell’influenza. Elegante nel suo abito completamente nero che mette in risalto il lungo becco giallo, più volte è giunto sulla mia finestra. In alcuni momenti tra me e lui c’è stato solo il vetro, ma la vicinanza non gli metteva paura. Probabilmente è un esemplare giovane. Ho capito subito che dovevo premiare la gentilezza di quelle visite annunciate con un breve verso in canto che, pur privo della sonorità di quello primaverile della sua specie, è ugualmente melodioso, ben diverso dal pigolio dei poveri passeri. Cercando di indovinare le sue preferenze in fatto di menu, ho scoperto che apprezza molto il formaggio e in quella settimana ho avuto tutto il tempo di tagliarlo in piccolissimi cubi. Poi, anche per le mie lunghe assenze da casa, non l’ho più visto fino a questa mattina, quando mi ha chiamato con il solito breve canto. Diventeremo mai amici? Trattandosi di un merlo ciò significa addomesticarlo. Per rispondere dovrei sapere cosa farà in futuro: si allontanerà da queste case di città? Andrà in cerca di alberi, dove ripararsi e di prati dove mettere alla prova il becco giallo, abilissimo nello scavare per cercare sottoterra i lombrichi di cui è ghiotto? Cercherà una compagna con la quale costruirà il nido?
I verbi sono tutti al futuro perché quando incontriamo qualcuno, soprattutto un nostro simile, la possibilità di camminare insieme è legata a ciò che farà dal momento del nostro incontro. Lo constatava papa Giovanni XXIII, sempre attento a cercare ciò che unisce: «Quando sulla mia strada incrocio qualcuno, forse gli chiedo da dove viene, ma mi interessa molto di più sapere dove va; se abbiamo la stessa meta possiamo fare la strada insieme». Potremmo farne una regola generale? Più che al passato di una persona, è da guardare al suo avvenire. La sua identità non si scopre solo girandosi indietro e scavando in ciò che è stato, ma soprattutto spingendo lo sguardo nel futuro, ascoltando i suoi desideri e i propositi, che svelano anche i valori che muovono ogni uomo che si mette in cammino. Il caso in cui questa regola funziona al massimo è l’innamoramento, ma l’applicazione è possibile ad ogni amicizia: la vita passata è importante, ma ad unirci è un futuro che intendiamo condividere, mossi dalla speranza e dal presentimento di poter fare tanta strada insieme. Anche per tutta la vita.
Sono convinto che la regola valga anche per una comunità o un popolo. Qui emerge la questione dell’identità che oggi appassiona a tanti livelli. In qualche modo tutti sono alla ricerca dell’identità. Insieme scatta subito il bisogno di difenderla, di proteggerla dalle contaminazioni e di salvarla. Si interroga esclusivamente il passato, con la passione di riscoprire la storia, le tradizioni, la lingua, i mestieri, la cucina ecc. Il nuovo grido di battaglia: «L’America prima di tutto!» viene declinato per tante altre identità perché c’è una voglia diffusa dappertutto, di rifugiarsi nel proprio mondo e chiuderlo. Il ritorno del folklore che risuscita il passato è solo una manifestazione, forse la più piccola e certamente la più innocente. C’è ben altro in questo movimento che genera chiusure ed esclusioni verso ogni straniero e verso tutti quelli che sono ’foresti’. Così però dimentichiamo che un tempo siamo stati ’foresti’ anche noi e che siamo giunti qui dove ci troviamo, provenendo da diverse parti. Per gli americani basta guardare ai cognomi: irlandesi, italiani, tedeschi, polacchi, spagnoli, cinesi. Per noi occorrono alcuni passaggi in più, arrivando ‐ se si vuole ‐ alla mappatura del Dna che testimonia inequivocabilmente le nostre origini: proveniamo tutti dall’Africa! Senza entrare in laboratori da specialisti, basterebbe studiare il nostro linguaggio che documenta tanti influssi. Grazie ad essi siamo quello che siamo e di cui andiamo fieri. La forza che ha fatto progredire la nostra vicenda è stata la condivisione di un futuro che ha avuto la meglio sulle differenze del passato. O meglio, le ha assunte, scambiate e fatte diventare patrimonio comune. Constatare che il risultato è molto buono, non vuol dire trascurare le difficoltà, la fatica, le resistenze, i fallimenti, i conflitti che si incontrano strada facendo quando dei diversi si mettono insieme. Ancora una volta basta osservare quel laboratorio interessantissimo che è la famiglia, con al centro la vicenda di una coppia. Lì si vede cosa significhi unire la differenza maschile e femminile, alla quale si aggiungono le differenze familiari, sociali, culturali. Con l’arrivo dei figli ci saranno le differenze generazionali. Però è evidente che si tratta del motore che spinge in avanti la vita. Il carburante è sempre quello: un progetto comune, una speranza condivisa, una meta che unisce. La presenza del merlo sul davanzale mi ha portato troppo lontano! Non è colpa sua, ma del caldo tanto apprezzato in queste gelide giornate, che aiuta a sognare e forse anche a riflettere.

Leggi "Don Luigi Del Favero" della settimana scorsa.

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