Terza giornata all’insegna dell’approfondimento quella che le Settimane Sociali hanno riservato ai delegati arrivati a Trieste dalle diocesi di tutta Italia. La mattinata di ieri si è aperta infatti con due riflessioni «La democrazia del noi: per una nuova grammatica della collaborazione», condotta da Mara Gorli, docente dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, e «Partecipazione, cittadinanza e istituzioni: per una democrazia trasformativa» proposta Filippo Pizzolato, docente dell’Università degli Studi di Padova.
Entrambe le riflessioni hanno soprattutto provocato, messo in discussione logiche e dinamiche ormai ampiamente diffuse per riportare al centro il ruolo generativo della partecipazione realmente democratica.
Un processo di destrutturazione e ricostruzione a tratti non originale in assoluto – di porre l’accento sulla followership e non sulla leadership, per fare solo un esempio, si discute con alterne fortune ogni qual volta si parli di reti sociali specie online – ma che ha avuto il merito di porre l’accento sulla partecipazione intesa come «fioritura dell’umano, umanizzazione dei rapporti sociali e economici affinché siano abitabili, ospitali», per dirla con le parole del professor Pizzolato.
Una partecipazione che, per il docente padovano, si sostanzia soprattutto a livello locale inteso come luogo dinamico, espressione massima della sussidiarietà ma anche di quel conflitto democratico che sta alla base della partecipazione.
Su queste premesse si è articolato il lavoro dei gruppi, impegnati a sintetizzare, riassumere e condividere i concetti, le sottolineature e le raccomandazioni raccolte nel corso della mattinata.
Un vero lavoro di concerto prima che di concetto che ha portato alla formulazione di una serie di raccomandazioni che verranno poi condivise con gli altri partecipanti.
Marco Bentivogli, esperto di lavoro e coordinatore di Base Italia, nel corso dell’incontro «Democrazia digitale: comunicare e informare ai tempi dell’intelligenza artificiale», ha usato un’immagine chiara per definire lo sforzo che dobbiamo compiere per imparare a convivere con le nuove tecnologie “intelligenti”: educare all’AI, educare con l’AI e educare l’AI.
L’AI o, all’italiana, Intelligenza artificiale è forse la più grande sfida tecnologica della nostra generazione: una rivoluzione radicale come quelle industriali dei secoli scorsi ma che colpisce, forse per la prima volta, più duramente i “colletti bianchi” e meno i lavoratori manuali.
Sono le professioni intellettuali quelle ad essere messe in discussione dalla velocità e dalla pervasività di una macchina che produce pensieri – o l’illusione di essi – e non più solo cose.
Una polarizzazione del lavoro tra chi sarà coinvolto dalla transizione e chi sarà marginalizzato o sostituito. Una dinamica che non può lasciarci indifferenti e che ci obbliga, appunto, a ragionare in un’ottica di formazione continua.
A Paul Bhatti, medico e politico pakistano fratello del ministro Shahbaz Bhatti ucciso dai fondamentalisti per la sua strenua difesa dei diritti delle libertà religiose nel paese e di Asia Bibi, è stata affidata la conclusione della serata.
«La strada per il paradiso parte dal Pakistan», ha spiegato l’attivista italo-pakistano, ricordando come anche nei momenti più bui suo fratello lo esortasse a tornare in Pakistan e ad impegnarsi per il cambiamento. Un impegno e una devozione, quella Shahbaz Bhatti, che gli è costata la vita e di fronte al quale il fratello ha deciso di perpetuare la memoria. «Quando sei sulla strada giusta, quella della verità e del perdono, arrivi al tuo destino di pace».
Gianluca Salmaso
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