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Lo squarcio tra le nuvole

di Luigi Del Favero

Ho ascoltato attentamente il divulgatore scientifico che in una recente trasmissione ha spiegato perché il cielo è blu, perché appare il rosso del tramonto, perché le tinte si presentino rovesciate su Marte, dove di giorno il cielo è rosso e al tramonto è blu e come mai si possano vedere le aurore boreali. Lo potevano capire anche i bambini o, forse, la trasmissione di cui ho seguito solo quello spezzone, era fatta proprio per i bambini. Di fronte ai grandi misteri dell’universo, quei "perché" riguardavano piccoli fenomeni che tuttavia io non avrei saputo piegare con altrettanta chiarezza. Ci ho ripensato quando il sole, dopo giorni e giorni di nuvole, si è fatto vedere di nuovo con la sua capacità di rallegrare gli occhi e mettere in moto la voglia di fare. Giovedì è accaduto a noi che, ben lontani dai disagi e dai danni subiti a causa del maltempo in altre regioni italiane, abbiamo tuttavia condiviso la noia per il prolungarsi di giornate senza luce in questo strano novembre che si era aperto spingendoci, senza preavviso, nel freddo invernale, per proseguire poi con un clima umido, caldo e piovoso che ci ha fatto sentire spaesati. Più volte ho frenato il lamento che appesantirebbe l’aria in casa lasciando correre il pensiero attraverso i paesi messi sottosopra dal terremoto, dove la pioggia senza tregua crea veri problemi. «Vorrei proprio far cambio con quelli – forse anziani – che vivono nel fango o dormono sotto le tende?». La risposta evidente non riesce però a riportare il sereno né in cielo né nell’umore.
La schiarita di giovedì è stata provvisoria, momentanea si potrebbe dire, e tuttavia io l’ho gustata, rendendomi conto di quante cose si vedono e quante altre si possono apprezzare come se fossero nuove, con il ritorno del sole. Descriverle? Manca la materia, dato che si tratterebbe di parlare di quanto è più familiare, quotidiano, vicino a noi. Meglio fermarsi sullo stato d’animo indotto dallo squarcio nelle nuvole durato alcune ore. Senza fare il giro attraverso tutti i miei ragionamenti, della cosa si accorgono anche i bambini. Perfino il gatto di casa ha percepito qualcosa. Per giorni o aveva dormito oppure era diventato dispettoso. Con il ritorno del sole è uscito di casa ed è stato necessario riportarvelo di peso, acchiappandolo con un po’ di fatica. Del resto non accade qualcosa di simile all’ammalato che torna a sentire il gusto dei cibi dopo un periodo di inappetenza o gode dell’aria fresca dopo essere rimasto al chiuso? Cosa provava l’emigrante rivedendosi nel proprio paese e risvegliandosi a casa propria? Tutto appariva nuovo, ma soprattutto buono, bello e rassicurante. Pur piccole, tutte le esperienze sfiorate in queste righe, possiedono la capacità di insegnarci qualcosa.
Un prete che nel ’900 era diventato un personaggio come grande educatore, quasi cent’anni fa era stato fatto prigioniero di guerra in seguito a Caporetto. Di ritorno dalla guerra, dopo la prigionia sotto gli Austroungarici, trascorsa in Boemia, aveva scritto un libro anticipatore di quanto sarebbe avvenuto e continua a coinvolgere anche noi. L’ascolto dei suoi compagni, giovani perlopiù, lo aveva indotto alla seguente diagnosi: «In questo tempo non siamo più capaci di fare filosofia». E spiegava press’a poco: «Si affaccia una stagione nuova in cui non sappiamo più se esista la verità e neppure la cerchiamo. Rimane unicamente ciò che appare a me e a te; ha valore solo quello che ognuno sente; il bene e il male lo determinano la sensibilità del singolo e il giudizio della coscienza individuale». In tale situazione quel grande prete prendeva atto che la strada della ragione percorsa per tanti secoli per arrivare alla fede era interrotta: la ragione non conduceva più alle porte del Mistero poiché si fermava molto prima. Era necessario il percorso inverso nel quale l’ascolto della fede, l’incontro con il Vangelo, l’irruzione del Mistero danno alla ragione il coraggio di riprendere la ricerca della verità. Quanto egli diceva nel 1921 sta diventando un’evidenza per noi, proprio oggi. E si ha l’impressione di uno squarcio tra le nuvole non per un passeggero rasserenamento ma per una nuova stagione luminosa. L’incontro con il Vangelo è l’unica forza per riaprire un cielo troppo chiuso.
Nel Vangelo ascoltiamo anche queste parole: «Guardate gli uccelli del cielo e i fiori del campo... Osservate il granello di senape e il lievito diffuso nella pasta... Ecco, il seminatore uscì a seminare». È solo un piccolo campionario sufficiente a convincere che Gesù era capace di rimandare alle cose, anche a quelle semplici che cadono sotto gli occhi quotidianamente. Le cose ci insegnano la verità perché non sanno mentire. Uno sguardo nuovo sulle cose può strapparci dalla tristezza paragonabile a quelle giornate autunnali piovose e darci coraggio per ripartire alla ricerca della verità. Nel libro al quale faccio riferimento è pure scritto ‐ occorre ricordarlo: nel 1921 ‐ che i cattolici sanno fare tante opere, ma non si preoccupano più di seminare idee. Vale anche per noi?

Leggi "Don Luigi Del Favero" della settimana scorsa.

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