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Il cielo dell’Alpago

di Luigi Del Favero

Importante era eludere la sorveglianza affettuosa, quasi materna, della sacrestana; sarebbero bastati i rimproveri del giorno seguente quando io stesso avrei svelato la mia fuga notturna. Accade più volte, solo nelle limpide notti invernali durante le quali era quasi irresistibile – almeno di tanto in tanto – salire nella vicina Val Parola, sito straordinario per osservare il cielo stellato, perché privo di inquinamento luminoso.
L’auto rimaneva al Passo Falzarego; proseguivo a piedi fino al forte, alla sommità del Passo di Val Parola e da lì non mi sarei più staccato. Ci ho pensato ripetutamente durante le festività natalizie senza ritrovare né il tempo, né l’energia per vincere il sonno, né il coraggio per affrontare il freddo e salire lassù.
Ma c’è stata una sorpresa nell’imminenza dell’Epifania, mentre mi trovavo a Tambre, in Alpago.
Uscito da una casa quando era già calata la notte e si spegnevano le ultime luci del tramonto, mi sono improvvisamente reso conto di trovarmi in un luogo eccezionale per ammirare il cielo, specialmente verso ponente.
La luna, giunta al primo quarto delle sue fasi, dominava e non occorreva certamente cercarla perché si imponeva e neppure c’era da cercare Venere, grande e splendente, un po’ discosta e più bassa, verso Occidente. Il resto delle stelle e delle costellazioni parevano comparse che facevano festa alle protagoniste che rimasi ad ammirare fin quando avvertii il freddo.
I tornanti della strada che scende da Tambre non permettono distrazioni, almeno all’inesperto; tuttavia qualche occhiata furtiva me la sono concessa, fino alla sorpresa: Venere era diventata rossa!
Mi fermai per capire. Venere non era affatto arrossita – non le succede mai – ma aveva fatto spazio, fra lei stessa e la luna, al rosso Marte, più piccolo, meno splendente, ma inconfondibile. L’uso del maschile sarà presto chiaro. Ricordai che quella era l’ora per l’appuntamento, ampiamente segnalato, con la cometa che passa in questi giorni tra la luna e Venere. Ritorna ogni sette anni e tre mesi e questa volta l’appuntamento mobile coincideva con l’Epifania. Per scorgerla però occorre almeno un binocolo. Ma il sapere che c’era era già tanto.
Al mattino seguente il mio racconto ad alcuni colleghi non aveva più il calore delle emozioni vissute e sembrava una piccola relazione, molto difettosa anche dal punto di vista astronomico. È giunta infatti prontamente la precisazione: Venere e Marte non sono stelle, ma pianeti; non brillano di luce propria come le vere stelle, ma riflettono la luce del sole. Giuliana, la famosa sacrestana di un tempo, non l’avrebbe mai capito anche se si tratta di un’evidenza scientifica. Ma lei ormai vede le cose da lassù...
«Dio ti benedica con la luce del suo Volto», abbiamo augurato nella liturgia di Capodanno. E in ogni preghiera per i defunti domandiamo: «Splenda ad essi la luce eterna», ricordandoci che noi stessi siamo in marcia con destinazione «la visione di Dio, così come Egli è».
Non è troppo poco augurare la luce?
E quale forza viene ad un cammino spesso faticoso ed incerto dall’attesa di una visione?
Io la desidero veramente?
Quei pianeti che si confondono con le stelle più luminose mi rassicurano che ricevere la luce del sole per loro è tutto. Senza quella luce si spegnerebbero immediatamente. La nostra terra, essa pure un pianeta, quello che – secondo Dante –ci fa tanto feroci, morirebbe e sparirebbe ogni forma e possibilità di vita.
Papa Francesco, in una delle sue pittoresche innovazioni del linguaggio, proprio parlando del desiderio di seguire la stella, ci ha detto del bisogno di liberare il nostro essere «nostalgioso». Ha utilizzato un termine inesistente in italiano; appare nello spagnolo, almeno in quello popolare di Buenos Aires, eppure tutti abbiamo capito cosa voleva dire.
Non ci serve essere nostalgici, cioè inchiodati al passato, con la testa rivolta all’indietro e il cuore bloccato, nell’impossibile impresa di far rivivere quello che è stato.
Il «nostalgioso» possiede una sorta di molla che lo spinge in avanti e lo solleva verso l’alto. Appartiene alla nostra natura essere così, ma questa risorsa è come sepolta dai detriti. Francesco instancabilmente e con immensa fiducia li sta togliendo e, a guardarlo, vien da credere che l’operazione è possibile.
Per partire non occorre un luogo speciale come la Val Parola, dove si danno appuntamento gli astrofili spesso muniti di sofisticate apparecchiature. È sufficiente un paese bellissimo dell’Alpago.
Soprattutto basta il cuore di ogni essere umano.

Leggi "Don Luigi Del Favero" della settimana scorsa.

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