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Era cosa buona

di Luigi Del Favero

Il brevissimo e convinto commento di un giovane collega ha spazzato via lo strato di noia che stava depositandosi in me mentre ascoltavo il testo biblico della Creazione che in questi giorni ci è stato nuovamente proposto nelle Messe del periodo. «Niente di nuovo!» stava dicendo la voce annoiata che aveva bisogno di una spinta per spostarsi e permettere alla Parola di Dio di fare il decisivo tragitto dalla mente al cuore. Il commento indirizzava l’ascolto sulle parole ben note, che concludono ognuno dei sei giorni della Creazione: «Dio vide che era cosa buona» e mi faceva vedere, in un attimo, la mia distanza dall’atteggiamento del Creatore. Proprio io che ho insegnato tante volte la dottrina della bontà della Creazione e della positività del mondo uscito dalle mani di Dio, mi fido poco di quanto Lui ha fatto.
Nelle settimane scorse i terremoti, le bizzarrie del clima, i disastri provocati dalle valanghe hanno suscitato un pensiero petulante che ho avuto paura di formulare, lasciandolo però girare nella mente. Se gli avessi permesso di esprimersi, avrebbe detto così: «Caro Dio, io avrei fatto le cose meglio di te. Non avrei creato vulcani, terremoti, venti gelidi e impetuosi, montagne fragili che franano; avrei dato ordini equilibrati alla neve, all’acqua e anche al sole che riduce terre intere in deserti. Già che ci siamo, ti dico anche che non avrei inventato batteri e virus che ci rendono tanto difficile la vita e così fastidioso l’inverno».
La censura morale non ha permesso ad una frase del genere di uscire allo scoperto, qualificandola come empietà, ma tant’è e così da qualche parte essa si aggira. Per sconfiggerla non basta il racconto dell’uomo che aveva terrore dei ragni. Inseguito dai nemici, si era rifugiato in una caverna naturale, dall’ingresso piuttosto stretto. Accovacciato lì dentro, soffrendo per il freddo e l’umidità, aveva trovato il modo di rimproverare Dio per aver creato i ragni, abitanti della grotta, dei quali aveva autentica fobia. La pattuglia che lo inseguiva giunse all’ingresso della caverna e due uomini proposero di esplorarla. Ma il capo, che aveva notato una grande tela di ragno proprio all’entrata, disse che sarebbe stato tempo perso: se la loro preda fosse penetrata lì dentro avrebbe certamente lacerato la tela stesa dal ragno. Ascoltando tali parole, il fuggitivo ringraziò il Signore per aver creato anche i ragni.
Il racconto è bello e nella sua semplicità aiuta a fare un passo avanti, ma non conduce ad aderire al Creatore che vide di aver fatto cose buone. L’abitudine a farsi voce, anche poetica, di ogni creatura e a godere di ogni cosa, pur piccola, che appare bella e buona, apre la strada verso tale meta; lo stupore, condiviso con tanti scienziati che indagano la natura, porta uno scalino più in su fino alle porte di quella fiducia da rinnovare spesso nel Creatore che è Padre buono.
La cosa su cui sto riflettendo diventa molto più seria quando si tratta degli uomini. Davanti alla prima coppia è detto nella Bibbia: «Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona».
Dunque la bontà dell’opera di Dio è potenziata. Quante smentite a questa fondamentale verità! Ogni volta che sono scontento degli altri, che li critico, che li giudico, che escludo qualcuno, negandogli la mia amicizia, la stima o anche solo la mia parola, di fatto dico a Dio che ha fatto male a crearli.
Ci sono periodi in cui vorrei rifare il mondo a modo mio e popolarlo come piace a me: la cosa più importante è che certe persone non ci siano. Dire che le uccido nel mio cuore mi pare esagerato; in ogni caso è tentativo isolato e passeggero di cui provo ripugnanza. Rimane quel sottile rifiuto dell’opera di Dio che ha creato anche quanti a me non piacciono. Se permetto a tale rifiuto, che può ben essere istintivo e incolpevole nel suo sorgere, di comandare gesti, parole e scelte, allora posso commettere vero peccato di empietà. Che significa peccare direttamente contro Dio. Altro che innocenti antipatie o problemi caratteriali o peccati veniali di maldicenza. Oggi su questo terreno posso giocarmi il mio rapporto con Dio.
C’è anche un provvidenziale segnale di allarme della brutta piega che stanno prendendo le cose. È la tristezza che mi invade e un po’ alla volta si legge negli occhi, si percepisce nelle parole, si vede negli atteggiamenti. Tra un po’ sarò solo e senza amici perché, dopo un primo tempo di applausi, gli altri si stancano di chi parla male di tutti ed è sempre amaro e scappano lontano. Forse in quel momento mi accorgerò che la persona buona non viene mai lasciata sola. La sua compagnia è cercata, la sua amicizia è preziosa, la sua presenza è apprezzata. Esempi ce ne sono tanti: da papa Giovanni XXIII alla sacrestana della mia parrocchia che, pur vedendo tutto con intelligenza, sapeva comprendere tutti e quasi ogni giorno mi esortava alla pazienza e alla bontà. Era capace di mostrarmi il bene che c’è in ciascuno. Basta scavarlo un po’.

Leggi "Don Luigi Del Favero" della settimana scorsa.

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